lunedì 24 giugno 2013

Ritorno alla Politica



Quando tutto è spezzato allora nasce improvvisamente per miracolo l'arcobaleno 
della speranza Giorgio La Pira

Scrive su la Repubblica, nel giorno di san Giovanni, Ilvo Diamanti,
in un articolo con la sua chiara sintesi nel titolo “Perché abbiamo bisogno 
della politica”: “È questo il nostro problema più grande, oggi: l'abitudine 
alla "precarietà". La rimozione del futuro. Perché il futuro è passato. 
Emigrato. All'estero. E ci ha lasciati qui. Sempre più vecchi, ma incapaci 
di ammetterlo. Noi, passeggeri di passaggio in questo Paese spaesato:
abbiamo bisogno di Politica. Perché senza Politica è impossibile pre-vedere. 
Progettare il nostro futuro. E senza pre-vedere, senza progettare o, almeno, 
immaginare il futuro, senza un briciolo di utopia: non c'è Politica
Ma solo "politica". Arte di arrangiarsi. Giorno per giorno”.

Concordo. Pienamente. Anzi, a mio modo, in questo blog provvisorio di provvisori 
pensieri ,  sia pure nell’orizzonte di una “cultura del limite”, mi è capitato 
di scrivere non solo del bisogno di Politica, ma soprattutto della necessità 
di costruire una nuova Politica con “più Partito”, indicando anche qualche 
suggerimento, sempre con “un briciolo di utopia”, quell’utopia, purtroppo negata, 
e trasformata, da questo ventennio morente dei leader, tra i quali ancora scalpita, 
ignaro epigono, il “giovane” Renzi, nella giostra di cavalieri  senza virtù.

1.      Il Partito Nuovo è incompatibile con il mito leader
Le ultime elezioni hanno decretato inaspettatamente la vittoria dei "movimenti
dell’antipolitica. Eppure in questo risultato è insito un paradosso politico, ed è 
il seguente: vince l’antipolitica, ma nasce urgente il bisogno di Politica e di più 
"Partito" di persone. L'antipolitica, nata vent'anni fa con Berlusconi, è giunta ora
a una sua piena vittoria con Grillo. A votare per un “partito” (non esistono “partiti” 
oltre il Pd e Sel), hanno resistito solo in una larga minoranza. L'antipolitica 
è la visione comune nell’oggi. Una volta l’antipolitica di Berlusconi era: arrendetevi 
all'imprenditore, i partiti hanno fallito, ora "ghe pensi mi"; e inventa il “danarismo 
avvilente”, per tenere a libro paga i “servi liberi” alla Ferrara; oggi l'antipolitica 
di Grillo aggiunge: arrendetevi al Movimento, i partiti hanno fallito, si ritorni 
alla "volontà popolare"; e inventa il “vaffismo” per attrarre la protesta nel grido 
liberatorio della piazza. Anche se ora sono i suoi a subire il “vaffa” (e si sa, 
con il “vaffa” non si può andare lontano!). La differenza, sia pure nel terreno 
comune dell’antipolitica, non è di poco conto: Berlusconi aprì alla schiavizzazione 
dei sudditiGrillo intende aprire alla liberazione dei cittadini. Ma è sempre
 una lotta contro i partiti. Ed entrambi (ma non solo) fondano non-partiti
Ma per l'estensione della democrazia tra le persone, è necessario contrastare 
ogni residua spinta leaderistica, fondamentalmente maschilista, antipolitica, 
antipartitica, e bisogna inventarsi nuove forme dell'agire politico; ed è necessario 
superare insieme
·         sia la verticalità dei partiti padronali (veri non-partiti al servizio del leader 
con carisma (?) -mai parola nobile cadde così in basso!-); 
·         sia la orizzontalità dei movimenti atomizzati (vere non-associazioni, 
almeno nel livello nazionale, semplicemente "piattaforma...veicolo 
di confronto e di consultazione che...trova il suo epicentro" in un blog); 
·         sia la burocratizzazione arrivista e autoritaria dei partiti tradizionali 
(veri luoghi di lotta di potere).


2.      Il Partito nuovo e la sovranità conviviale 
La democrazia moderna, dopo aver colpevolmente subito e accarezzato 
il “partito carismatico” (ma da noi il carisma è stato del danaro avvilente), 
il “partito del leader” (anche quando il leader era piccolo, piccolo),  
il “partito personale” (spesso all'interno di uno stesso partito, ad esempio il Pd),
il non-partito “movimento” (stranamente rigido nelle posizioni del suo “motore”), 
ha ora bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno di “più partito”, 
cioè di un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove e trasparenti rendono possibile 
una relazione “alla pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche
per “sorteggio”, dove uomini e donne, in spirito di servizio, siedono “in pari 
numero” nei posti di guida, dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso 
un maschio, ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall'altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. Se i partiti e i movimenti, in sé, sono senza regole 
di democrazia, trasparenti e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del comprendersi guardandosi negli occhi, non potranno mai essere
in grado di estendere la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.

3.      Immaginare il Partito Nuovo
Abbiamo bisogno di più partito se vogliamo costruire un nuovo modo dell’agire 
politico; ognuno di noi deve contribuire a "immaginare" ogni possibile strada 
per raggiungere l’obiettivo. Ed ecco il mio immaginare. Perché un nuovo modo 
di far partito possa libero nascere e camminare, e accogliere, lungo il suo 
cammino, nuove/i compagne/i di strada, immagino sia necessario organizzare,
nei territori, tanti "luoghi di partenza", visibili, stabili, animati, rumorosi, 
equipaggiati, dove sia possibile sperimentare, in continuità e in solidarietà, 
anche amicale, una qualche ipotesi di nuova "comunità" politica. 
Magari “conviviale” (e si può iniziare programmando con regolarità nell’anno 
“politico” più incontri conviviali).
E immagino nuove "sezioni/circoli" quali reali luoghi di incontro di tante/i giovani, 
e di tante/i meno giovani, luoghi gradevoli, in centro e in periferia, dove sia 
possibile stare insieme, collegarsi in rete, ascoltare musica, bere una bibita, 
e discutere dei problemi della società, a partire dalla conoscenza/studio 
dei bisogni del nostro “prossimo” di quartiere, senza lunghe riunioni di "partito",
ma tessendo nel dialogo rapporti  di "felicità" sociale, chiacchierata e praticata, 
e costruendo dal vivo una comunità, contro i luoghi virtuali dei giochi televisivi, 
delle tribune di parole gridate e da spettacolo.
E immagino una grande discussione sui nuovi confini della libertà, per tornare 
a riprendere il tema (e la pratica) dei nostri resistenti, anche per smascherare 
l'imbroglio dei "nuovi" profeti del liberalismo salvifico.
E immagino tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal quartiere, e non solo 
per la riparazione delle buche nell’asfalto delle strade, ma soprattutto 
per la riparazione delle buche  nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà 
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità, sfidando 
gli avversari continuamente, in ogni volantino, in ogni manifestazione, in ogni 
dibattito, a livello locale e nazionale, programmaticamente, riempiendo la libertà 
almeno dei suoi contenuti costituzionali, di un lavoro vero, di una casa dignitosa, 
di un'istruzione di qualità, di una salute curata. E non solo con manifestazioni 
chiuse in un unico “luogo di raccolta” centrale, ma aperte in ogni “luogo vissuto” 
di lavoro politico, in contemporanea, e su un tema comune.
E immagino una discussione ampia sulla "cultura del limite", quale possibile altro 
orizzonte culturale: se sia, ad esempio, necessario definire un limite alla ricchezza,
e alla povertà, e allo sfruttamento della natura, e all'uso delle risorse energetiche, 
e alla violenza di guerra e non, e alle morti sul lavoro, e attraverso quali 
provvedimenti e quali interventi culturali.
E immagino la lettura in comune, partecipata, anche all’aperto, nei nostri "luoghi", 
di testi di riferimento precisi, fondamentali per alimentare una speranza 
di una società migliore, meglio se testi già codificati; ad esempio, la dichiarazione 
universale dei diritti dell'uomo, la nostra carta costituzionale, le carte 
del socialismo europeo e internazionale.
E immagino un gruppo di lavoro di persone con passione preparate, capaci 
di spiegare la politica ai "meno istruiti, ai pensionati, alle casalinghe", e disponibili 
a svolgere, nei nostri "luoghi", senza scadenze, non più solo una "campagna" 
elettorale per chiedere voti, ma una "campagna" di informazione e di ascolto, 
per una reciproca formazione, in un rapporto alla pari, a tracciare, 
pietra con pietra, un lastricato democratico.  
E se tutti insieme si immagina, forse molte diventeranno, per costruire a sinistra 
un Partito Nuovo, le cose da fare.

4.      Il Partito nuovo e la solidarietà
Se abbiamo capito i segnali di quel bisogno di rivoluzione /cambiamento uscito 
dall’esito elettorale, è ora, quindi, di avviare la discussione politica sul Partito
Nuovo  nelle assemblee di tutti i circoli, in un giorno convenuto, di lasciar correre
idee nuove senza le chiusure mentali da ex, di realizzare nuove strutture 
di organizzazione e nuove forme selezione della dirigenza, superare i riti 
dell’autoreferenzialità, perché, se si mobilitano idee, insieme alle idee, si possono
mobilitare anche le persone. La domanda dunque è : cosa si deve inventare 
perché una persona decida liberamente di impegnarsi in politica? 
Nel Nuovo Partito? Cosa le si può offrire?
La risposta è: possiamo e dobbiamo dare, sempre e comunque, s o l i d a r i e t à
con azioni concrete, con proposte di legge, con scioperi, con lotte, 
con manifestazioni, con presenza diretta, con il dialogo della comprensione 
interpersonale; è compito della sinistra inventare un Partito per stare bene insieme, 
convivialmente, e per estendere la democrazia.

O no?

Severo Laleo

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