martedì 29 gennaio 2013

A partire da una stupidaggine, l’idea di una scuola sensata




E’ bastata una stupidaggine, un’idea cioè senza un serio costrutto,
e senza un fine chiaro, chissà da chi costruita nell’area Monti,
per aprire in campagna elettorale il fronte della scuola.
Senza questa stupidaggine, di restringere a un solo mese le ferie degli insegnanti
con chiusura degli edifici, oggi di scuola non si parlerebbe.
Grazie quindi alla proposta stupidaggine, da Brunetta, sempre tempestivo,
definita proposta giusta, di scuola ora si può parlare.
Bersani, in verità, dal suo punto di vista, utilizza la stupidaggine
per dare subito qualche sensata riposta, in questi termini:
"Prima di parlare di allungare o accorciare vacanze estive,
teniamo le scuole aperte tutto il giorno per attività didattiche.
Le scuole devono stare in piedi. Per questo allentare Patto Stabilità
sui Comuni per un grande piano di piccole opere locali…
il primo giorno di governo ci mettiamo coi comuni, facciamo una deroga
al patto di stabilità, e facciamo manutenzione straordinaria delle scuole, così diamo anche un po' di lavoro in giro".
Bersani, coerente con la sua idea fissa di risolvere la grande questione lavoro,
s’impegna, subito, a un’opera di estensione del tempo scuola
scuole aperte tutto il giorno” (piano didattico), e, insieme,
a un’opera, ormai inderogabile, di manutenzione delle scuole
(piano della sicurezza e fruibilità degli spazi), anche per dare
un po' di lavoro in giro”.
Pratico Bersani, ma fa torto, sulla scuola,  sia al suo, di premier,
buon programma di coalizione, firmato da tutti gli alleati,
sia all’ottimo programma di SEL (la questione di più programmi è,
a non essere maligni, tutta interna al sistema politico italiano,
ambiguo e condizionato da porcellate: ma le nuove generazioni, forse,
 sapranno costringere a un’unità di parola, almeno negli accordi).

La ricostruzione

Entrambi i programmi esprimono un giudizio severissimo
sull’operato della Ministra Gelmini, ma anche del Ministro Profumo.
La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio
di riforme inconcludenti e contraddittorie -si legge nel Programma
di Coalizione-, hanno ricevuto nell’ultima stagione un colpo quasi letale.
Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria” 
Nel Programma di SEL il giudizio è senz’appello. E merita una citazione piena.
I dati parlano drammaticamente chiaro: l’Italia spende per l’istruzione
solo il 9% del totale della spesa pubblica, quando la media dei paesi industrializzati è superiore al 13%. Nella classifica OCSE 
sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione 
nei paesi più industrializzati del mondo siamo penultimi, al 31° posto 
su 32. Le leggi finanziarie degli ultimi anni, che hanno utilizzato 
le risorse della scuola per fare cassa, e la controriforma della Gelmini, cioè il più grande tentativo di distruzione del sistema di formazione pubblica e di demonizzazione degli insegnanti, hanno portato a questo risultato. Chi è venuto dopo, il ministro Profumo, ha operato in piena continuità: aumento delle risorse alle scuole private e tagli per gli enti pubblici di ricerca, blocca i concorsi universitari e proroga i rettori, indice un “concorsone” in cui i titoli accumulati non hanno alcun valore, lascia irrisolto il problema di chi nella scuola lavora da anni in totale precarietà e si propone di ridurre gli Organi Collegiali.

Lotta alla dispersione: la scuola per tutte e per tutti, senza esclusioni 

Si legge nel Programma di Coalizione: “Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal varo 
di misure operative per il diritto allo studio, da un investimento 
sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico 
della formazione, della promozione della ricerca scientifica 
e della ricerca di base in ambito umanistico. Dalla scuola dell’infanzia 
e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione di sé”.
Più sibillina appare la conclusione del discorso, una volta definiti gli impegni,
perché torna in campo il tema del rigore della spesa.
Ecco il brano “a rischio”: “A fronte di questo impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi”. E davvero non è facile capire.
Al contrario, senza passaggi sibillini il discorso degli impegni secondo
il Programma di SEL. “Nella scuola che vogliamo il tempo pieno 
è garantito a tutti. Abbiamo urgenza di abbattere la dispersione
scolastica che in alcune aree del paese supera il 20%.  Per questo 
è necessario introdurre l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. E abbiamo 
bisogno di scuole pubbliche di qualità in tutto il territorio nazionale,
che operino in reale autonomia. Proprio per questo è indispensabile
garantire Organi Collegiali democratici, aperti, che abbiano pieno 
riconoscimento e diritto d’intervento nella didattica e negli aspetti 
organizzativi. Una delle priorità è il programma di edilizia scolastica
perché non possiamo più vivere tragedie come quelle di San Giuliano,
non possiamo più pensare che i nostri figli passino la maggior parte 
della loro giornata dentro strutture pericolanti, fatiscenti, con barriere 
architettoniche che limitano l’accesso ai diversamente abili e privi 
di connettività. Attraverso il taglio delle spese per l’acquisto
degli inutili aerei da guerra F 35 possiamo recuperare risorse 
da investire in un forte programma di edilizia scolastica in tutto 
il territorio nazionale che rinnovi le strutture  e le adegui 
alla normativa antisismica, le doti di connettività, di laboratori  
e degli altri strumenti necessari. C’è bisogno di nuovi insegnanti
Ben tre generazioni di insegnanti sono intrappolati nella vergognosa 
gabbia della precarietà. Per questo noi proponiamo un piano 
pluriennale di immissione in ruolo dei precari, fino ad esaurimento 
delle graduatorie, coprendo tutti i posti disponibili nelle scuole. 
Oggi l’organico scolastico è fortemente sottodimensionato 
rispetto alle necessità: sono infatti ben 81 mila 
i posti disponibili per docenti e più di 12 mila quelli 
per il personale ATA. E’ necessario stabilire regole certe 
di reclutamento, sulla base delle reali esigenze di formazione 
degli studenti. Bisognerà per questo reintrodurre il tempo pieno 
e le ore di laboratorio che Gelmini aveva cancellato 
e garantire la presenza di insegnanti di sostegno, secondo il bisogno 
certificato. La soluzione praticabile è il concorso periodico 
che copra il fabbisogno a partire dalla percentuale 
degli organici funzionali. La formazione dei docenti 
deve essere garantita e obbligatoria durante tutto il percorso 
lavorativo, attraverso le unità territoriali di supporto 
pedagogico-didattico. La formazione, come sappiamo, 
inizia dalla nascita e le famiglie italiane, 
ed in particolare le donne gravate dal doppio compito del lavoro 
e della cura, necessitano con urgenza di nuovi nidi pubblici, 
che garantiscano un numero di posti pari almeno al 30% dei bambini 
fino a tre anni. La scuola deve formare alla vita: 
recuperiamo le ore sottratte da Gelmini e lavoriamo 
per l’unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali, 
investendo maggiormente nella materie professionalizzanti. 
E’ così che la scuola potrà esercitare un ruolo preminente 
nell’organizzazione della società, della produzione 
e della formazione delle generazioni. La qualità delle nostra scuola 
va costantemente valutata e misurata. 
Per questo intendiamo istituire un percorso di valutazione 
complessivo del sistema scolastico, così da verificarne l’adeguatezza 
e la rispondenza alle necessità espresse dagli studenti e 
dai cambiamenti sociali e culturali in atto. La valutazione 
verrà affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina 
ministeriale, dovrà avere finalità compensative e di supporto 
alle realtà scolastiche in difficoltà, e utilizzerà modalità statistiche 
con indicatori e parametri misurabili e quantificabili. 
La valutazione coinvolgerà il Consiglio di Istituto e il Collegio 
dei Docenti. La scuola è degli studenti, mentre oggi il diritto 
allo studio è fortemente messo in discussione dall’aumento 
delle tasse, dai costi non più sostenibili delle famiglie 
per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico, 
dall’erosione delle borse di studio. Vanno messe in campo 
con urgenza le risorse necessarie a garantire le borse di studio, 
forme di reddito indiretto come la mobilità gratuita per gli studenti, 
e strumenti fiscali come la deducibilità delle spese per la scuola.

Altro che riduzione delle ferie! E forse con una scuola a tempo pieno, 
con l’introduzione di nuove figure professionali, l'antica,
sempre uguale a sè stessa, didattica del trinomio lezione-interrogazione-voto
cadrà nell’oblio.

O no?
Severo Laleo

lunedì 28 gennaio 2013

La cultura finalmente ha un suo nuovo fondamento: l’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani




Dichiara Yehoshua, “da uomo di cultura, spesso a contatto con i giovani in Israele
e nel mondo”, a l'Unità: «la demonizzazione dell’altro da sé 
spesso nasce dall’ignoranza e si alimenta di stereotipi. 
Al tempo stesso, però, non bisogna cullare una idea salvifica 
della cultura. La cultura non basta: nazismo e fascismo sono nati
in Paesi ricchi di storia, musica e arte». 

Vero. Dunque, il problema diventa: quale cultura?

Forse, la cultura, anche nelle sue espressioni di musica,
di arte, di poesia, di creazione della bellezza,
di qualsivoglia produzione dell’uomo,
se ignora la realtà dell’altro,
se nell’altro non riesce a percepire il suo sé,
se non interiorizza e non pratica  l’idea dell’uguaglianza degli uomini
e della dignità della persona,
diventa un terribile e tragico gioco di inganni per pochi.
O no?
Severo Laleo

Monti, le tre carte e la serietà della politica




La serietà politica, con il conseguente trasparente impegno
a mantenere la parola data (a introdurre questa “novità”, almeno adesso,
in questi tempi bui di politica spettacolo senza più memoria,
è stato Renzi: con il suo comportamento post-primarie ha restituito,
in un paese di così tanti buffoni, dignità alla politica, e senza essere professore),
la serietà politica, ripeto, da noi è un optional nelle mani
di imbroglioni per vocazione, anche quando sono stimati professori,
capaci sì di intendere discorsi seri, e scientifici, ma anche,
per antica italica consuetudine, di praticare l’arte della bricconeria
attraverso il gioco delle tre carte, perché tanto in politica, si sa,
Re di Denaro vince.
E così, l’altro giorno, il “serio” professore Monti apre al PD
con questa parole: “Con il Pd, ma senza Vendola”.

Ora se i commentatori politici trovano normale (si fa per dire!)
questo ammiccante sussurro del Professore al PD,
partito di possibile maggioranza relativa, partito che ha sottoscritto
un accordo di coalizione e di programma con Sel e altri,
e lo riportano senza un commento critico, anzi ritenendolo ammissibile,
mi chiedo, qual è il grado di serietà della nostra vita politica?
Evidentemente si dà per scontato che sia possibile rinnegare gli accordi
e non mantenere la parola data (almeno in assenza di eclatanti sconvolgimenti).
Il Professore sarà anche salito in politica, ma mette sotto i piedi l’idea
di democrazia, quella che riguarda tutti noi, persone serie di un paese civile.
O no?
Severo Laleo


domenica 27 gennaio 2013

La civiltà dalle sbarre di un carcere


In questo blog di parole per una “cultura del limite”, 
l’articolo di Giuliano Amato, a ragion veduta, invita a non dimenticare 
i discorsi di civiltà, e intorno ai diritti, davanti ai cancelli di un carcere.

Carceri finalmente al centro dell’attenzione
Da G.Amato Il 27 gennaio 2013 
Sarà perché alla fine Marco Pannella è riuscito ad attirare sulle carceri  l’attenzione di tutti, sarà perché gli ha dato di recente  manforte la Corte europea dei diritti, certo si è che quest’anno, per la prima volta,  il problema carcerario  l’ha fatta da protagonista nelle parole degli alti magistrati che hanno aperto in tutta Italia l’anno giudiziario.  Ed è importante che esso sia emerso in primo luogo per quello che è, una violazione grave e quotidiana dei diritti di migliaia di persone, della quale siamo tutti chiamati a rispondere.
E’ appunto quello che da anni dice Marco Pannella, ma  siccome ci ha troppo abituato, davanti ai  temi più diversi, a dipingerli tutti con linguaggio estremo e provocatorio, è finita molte volte che le sue denunce sono divenute un refrain al quale avevamo fatto l’orecchio. Attenzione, se c’è un caso nel quale quel linguaggio è appropriato, è proprio quello delle carceri.
Siamo abituati a identificare la civiltà affermatasi fra di noi nel corso degli ultimi secoli nei parlamenti eletti dal popolo,  nel principio di eguaglianza, nei nostri diritti, nel rispetto per la nostra dignità. Ma i diritti e la dignità non sono soltanto nostri, sono di tutti, anche di chi finisce in carcere, giuste o ingiuste che siano le ragioni per cui ci finisce. Per questo la civiltà in cui ci riconosciamo  porta a cancellare il carcere come lo conoscevano i nostri antenati. Quel carcere era infatti fondato su principi opposti a quelli a cui tutti ci inchiniamo oggi. Era fondato sul potere  riconosciuto ai governanti non di detenere, ma  di annientare i propri  nemici e quelli che erano ritenuti i nemici della società. Finire in carcere significava perciò non avere più diritti ed essere assoggettati alle condizioni di vita più impossibili e disagiate, un preludio della morte che si finiva anzi per desiderare al più presto. E in genere ci pensava il freddo a farla arrivare.
Ebbene non tutti forse hanno capito che quel carcere a noi non è più consentito. Noi , in base ai principi della nostra civiltà e alle norme che in conformità ad essi abbiamo adottato nella nostra costituzione e nelle convenzioni internazionali dalle quali siamo vincolati, non abbiamo il diritto di mantenere in vita carceri che somiglino a quelle di un tempo. E quindi non abbiamo né il diritto né il potere di tenerci dentro chicchessia, quali che ne siano le colpe e le responsabilità. Il carcere oggi non deve annientare le persone, deve privarle della sola libertà personale e spingerle in questo stato di costrizione verso la rieducazione,  vale a dire, in primo luogo, verso l’accettazione della società (e delle sue regole)  nella quale dovranno rientrare.
Ebbene, le carceri italiane raramente rispondono a questo modello e sempre più, invece, accatastano i detenuti in celle sovraffollate, dove nessuno ha un proprio spazio, dove manca ogni riservatezza, dove mancano la doccia, la carta igienica e il sapone, dove ciò che viene alimentato può essere soltanto o la depressione o la ribellione. Non certo la rieducazione.  Se così è,  è vero che siamo tutti dei fuori legge, e quindi il rimedio dovrà essere all’altezza di una illegalità tanto enorme.

E’ un rimedio che non potrà esaurirsi  in un’unica misura e questo lo sa anche chi chiede l’amnistia, la quale, in assenza d’altro, avrebbe solo effetti temporanei.  Prima di tutto  dobbiamo noi, noi tutti convincerci che il carcere di oggi non può essere come quello dei secoli scorsi. E  quindi non storcere il naso (come si è fatto) quando si è appresa la qualità del carcere in cui sconta la sua pena Anders Breivik, il norvegese che fece strage di giovani laburisti nel luglio di due anni fa. Così ha da essere la nostra civiltà.  Poi  devono i magistrati convincersi tutti che il carcere  va usato come extrema ratio e che in particolare la detenzione preventiva  va imposta quando serve davvero e non quando fa comodo per sbarazzarsi intanto dell’imputato. A questo fine, utilissime e importanti sono state le parole che abbiamo sentito pronunciare dai vertici stessi della magistratura per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.  Su queste fondamenta, c’è a conclusione ciò che il legislatore dovrà fare per porre fine ai processi senza fine e alla comminazione a raffica di pene detentive fuori posto. A quel punto, anche eccezionali misure svuota-carceri una tantum acquisterebbero una legittimità ed un senso (per quanto rimanga difficile, ove si trattasse di amnistia, ottenere la maggioranza dei due terzi “sui singoli articoli e sulla votazione finale”, richiesta dalla Costituzione).
Sembra un lungo percorso. Ma il tema è talmente maturo che il paese può compierlo ormai in pochissimi mesi.

O no?
Severo Laleo

martedì 22 gennaio 2013

L’epifania di Monti a Ballarò




Monti, già tecnico superbo, si dimostra, ora, politico insopportabile,
sia perché dalla serietà degli studi economici riesce a scivolare,
per naturale attitudine, nella banalità delle battute 
degli studi televisivi, sia perché continua, a suo modo, 
secondo la tradizione spaccona italiana, 
a porsi su un predellino e a fare e disfare, alla berluscona maniera,
serio epigono del berlusconismo allegro.
Forse solo il mite Bersani, fermo nel suo convinto rifiuto, 
in questa campagna elettorale,
dell’insulto, del sarcasmo, del cabaret, può cambiare l’Italia. 
Almeno quanto a compostezza e misura.
O no?
Severo Laleo

venerdì 18 gennaio 2013

Se Vendola avesse proposto per SEL


Se Vendola avesse proposto per SEL
non solo le sue utili e brillanti narrazioni, con il conseguente, grave a sinistra,
affievolimento del dibattito comune, e con il vistoso incremento di variegate spinte,
non solo soggettive, a percorrere sentieri altri;
se Vendola avesse proposto per SEL
non solo il suo nome simbolo, con il conseguente consenso, 
grave almeno per SEL, alla diffusione dell’idea dell’insostituibilità del “capo”, 
inopportuna e sbagliata;
se Vendola avesse proposto per SEL
una vera e propria segreteria politica, magari bina, ossia gemina, ossia doppia,
cioè costituita da un uomo e una donna, a tempo pieno, efficiente
e, soprattutto, appassionata di democrazia, oggi la campagna elettorale
del Partito avrebbe nel suo ideale paniere punti chiari, comprensibili,
condivisi, irrinunciabili di programma, i "famosi" punti di SEL.

Ma qual è (stato) il contributo originale, vincolante/imprescindibile di SEL 
al programma di governo della coalizione di centrosinistra? Non è dato sapere.
Anzi, peggio, è possibile sapere/verificare, perché, per capire, basta un semplice
confronto tra la Carta di Intenti del PD, "Italia Bene Comune",
e la Carta di Intenti della Coalizione, "L’Italia Giusta".

Forse la segreteria di un partito della “nuova” sinistra, questa è SEL,
avrebbe il compito obbligato, sulla scia certamente delle opzioni politiche
del suo Manifesto, di: 1. estendere, proprio colmando con la partecipazione viva 
delle persone quel “vuoto di democrazia” del ventennio berlusconiano, 
la pratica della democrazia, prima al suo interno, con nuovi metodi 
di discussione/decisione, ad ogni livello di partecipazione, delle proposte 
di politica generale, magari con nuove regole di trasparenza/selezione di dirigenti, 
e successivamente, soprattutto con la vittoria elettorale, estendere 
la pratica della democrazia all'esterno, alla società tutta;  
2. di progettare/realizzare, dopo ampio, approfondito confronto con il PD,
nell’ambito del profilo comune del programma, proprie e riconoscibili
proposte di governo, a suggello dell’alleanza, sulle quali spendere
la passione politica di ogni buon militante consapevole.

Al contrario SEL si trova, al di là di ogni altra buona ragione, a essere,
ancora una volta, un obbediente, ma non più unanimemente, comitato elettorale.
O no?
Severo Laleo

giovedì 17 gennaio 2013

La caciara del Caimano




A sinistra, almeno se ci si chiama Nanni Moretti,
anche quando si vuole esprimere un giudizio critico, forte e definitivo,
su un personaggio politico, potente, grazie a un consenso da carisma di soldi,
e pericoloso, per la sua naturale vocazione di tiranno,
si cerca sempre di guardare in alto, di ingrandire, e nobilitare, le parti.
E si immagina tragica, con “Il Caimano”, la sua uscita di scena,
a danni gravi al Paese ormai inferti.

Macché, il nostro imprenditore prestato alla politica esce di scena
così, briosamente, tra calde sedie di un moderno studio Tv,
da Santoro stancamente allestito a campo di un improbabile dibattito,
tra una gag e l’altra, per pubblico divertimento,
alla presenza di un suo fan di successo, Massimo Boldi,
ricco di audience, ma povero di popolo,
senza una rivolta violenta, senza un atto da dramma politico,
senza una scarica sociale di rivoluzione dei suoi “servi liberi”.
E’ andato via così il capo di un ventennio di riduzione dell’etica pubblica,
nella caciara mediatica in continua rappresentazione di sé.

Ma se questo Paese ha ancora
un minimo di memoria storica, da cittadinanza attiva,
un minimo di cultura liberale, alla Piero Gobetti,
un minimo di serietà, alla Tina Anselmi,
un minimo di attenzione ai movimenti reali della società, alla Milena Gabanelli,
non perderebbe il suo tempo a seguir gesti e parole di un vecchio guitto.
Minimamente.

Ma, si sa, il nostro sistema di informazione, in gran parte, è abituato a divertirsi.
E per questo continua ad alimentare la caciara del Caimano.
O no?
Severo Laleo

martedì 15 gennaio 2013

Non è più tempo di “dirsi favorevole”, è tempo di “imporre”, altrimenti…




Nichi Vendola  si e’ detto favorevole alla proposta
di uno stipendio minimo garantito,
questa volta sulla spinta della dichiarazione dell'attuale Presidente 
dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker
pur esponente del Partito Popolare Cristiano Sociale.
E ha aggiunto, a sentire l’intervista a “Radio 24”:
L’Europa sarebbe più forte se in tutto il Vecchio Continente
ci fosse una soglia minima; dal mio punto di vista sarebbe interessante
immaginare anche una soglia massima delle retribuzioni.
Perché no? Per esempio nelle pubbliche amministrazioni,
sarebbe una cosa sensata porre un limite non soltanto in basso,
ma anche in alto”.

Ora, poiché la concretizzazione di uno stipendio minimo garantito
e  la definizione di limiti, in basso e in alto, alle retribuzioni,
almeno nella pubblica amministrazione,
dipendono solo da leggi da votare in Parlamento,
non potrebbe Vendola, con la forza dei giovani voti di SEL,
chiedere, e strappare, al PD, quale condizione sine qua non
per la coalizione, un tanto impegno?

Forse non esiste ancora alcun accordo di coalizione tra SEL e PD
intorno a definiti e specifici punti di programma,
forse esiste solo, a pensar male, un organigramma di carriere,
ma sarebbe ora di porre all'attenzione degli elettori,
con democratica trasparenza,
non più rinviabile, o graziosamente concessa,
i “contenuti”, irrinunciabili per SEL, di un patto di governo,
anche a prescindere dalle alleanze e dai nomi degli alleati.

O no?
Severo Laleo

domenica 13 gennaio 2013

Morin: dalla rivoluzione alla metamorfosi, e l’etica del freno



Morin e l’etica del limite: "solo speculazione e profitti 
senza limiti. Se non le si pone freno, 
saremo nell'anticamera della catastrofe".


Di seguito l’intervista di Giacomo Leso a Edgar Morin, uscita su “L’Espresso
Non parla più della rivoluzione, Edgar Morin, il patriarca della gauche francese e la voce più autorevole del Paese che è (idealmente) alle origini di tutte le rivoluzioni. Preferisce la parola metamorfosi: più complessa e ambivalente. Arrivato all'età di 90 anni si misura con temi come l'Apocalisse e il futuro dell'umanità, e in un sottile gioco degli specchi tra la disperazione (per lo stato attuale del pianeta Terra, per la pochezza dei politici, per gli eccessi del capitalismo sfrenato) e la speranza. Speranza, nonostante la coscienza di vivere dentro una catastrofe ("Ho conosciuto i momenti oscuri della storia. So che non sono eterni"). Perché, dice in questa intervista a "l'Espresso", la storia è imprevedibile. E' fatta da persone che portano avanti con coraggio idee considerate devianti e marginali. Il professore ci riceve nel suo studio al Marais a Parigi: un tavolo lungo, una finestra che dà sui tetti, e pile di libri dappertutto; tra questi, il suo ultimo volume "La voie" (la via), in cui tira le somme della sua lunga vita e cerca di tracciare una nuova strada per il genere umano".

Cominciamo con la differenza tra rivoluzione e metamorfosi.

"La rivoluzione vuole fare tabula rasa del passato e dare un nuovo inizio, e quasi sempre finisce male. Metamorfosi invece significa pensare al bene dell'intera umanità in continuità con il passato. Ecco io sono per questa soluzione".

Oggi il mondo occidentale è in ammirazione per la Rivoluzione dei gelsomini nei paesi arabi, rivoluzione, non metamorfosi...
"Iniziata da giovani non violenti con aspirazione alla libertà e alla dignità. La rivoluzione è in atto, ma non si può sapere come finirà. La violenza, invece, è arrivata, dalla parte del potere. In Libia ha provocato un'insurrezione e l'intervento dell'Occidente".

L'ambivalenza della storia.
"Questo è il vero problema. Allarghiamo il discorso. Pensi alla mondializzazione. E' la peggiore, ma anche la miglior cosa che ci potesse capitare. Non si può vedere da un lato tutto il bene e dall'altro solo il male. Nella storia il bene spesso è stato causa del male".

Come proteggersi da questo rischio?
"Con l'ecologia dell'azione".

Vale a dire?
"Qualsiasi azione intrapresa, foss'anche con le migliori intenzioni, si scontra a un certo punto con condizioni storiche e sociologiche date. E' là che può sfuggire al controllo e invertire il senso. Si deve essere coscienti che ogni decisione è una scommessa e che solo una strategia precisa, permette la correzione dei probabili errori dell'azione in corso".

Per la filosofia occidentale ci fu uno spartiacque nel 1755 con il terremoto di Lisbona. Fu la svolta nel pensiero illuminista, su cui siamo cresciuti tutti.
"Solo le catastrofi ci permettono di prendere coscienza dei problemi fondamentali. Terremoti, tsunami ci mostrano le minacce vitali che pesano sulla biosfera. E basti pensare al Giappone, oggi. Si è capito che la sicurezza assoluta è un mito: la realtà invece è composta da negligenze e scorie radioattive nocive per migliaia d'anni. E anche che il nucleare, per sua stessa organizzazione, è una forma di totalitarismo economico: non può esistere senza il segreto, che favorisce lo strapotere delle lobby".

E allora, dall'esperienza dei suoi 90 anni cosa è il Male?
"E' la barbarie umana. Che però ha diverse forme. Ha un volto antico: guerra, conflitto, dominazione, sfruttamento, tortura, disprezzo, umiliazione. La nostra barbarie contemporanea è invece tecno-economica: fondata su calcolo e profitto. Fra le qualità umane riconosce solo quelle che sono misurabili, catalogabili con dei numeri, ignorando il fondo della natura umana: l'amore, l'odio, la gioia, la tristezza. A volte capita l'alleanza tra le due specie di barbarie. Il primo sodalizio si è manifestato ad Auschwitz dove è stato industrializzato il massacro di popolazioni ebree e rom. Ma attenti, il potenziale del Male è in ciascuno di noi".

Sta dicendo che avanziamo incerti verso l'Apocalisse.
"Colpa di una mitologia: quella dell'economia neo-liberale che è l'altra faccia del mito del comunismo. C'è ancora gente che pensa, che l'economia liberale sia la realtà.
Non è vero, è solo ideologia. Non è nemmeno una teoria del mercato,
perché oggi non ci sono più regole e non c'è più concorrenza,
solo speculazione e profitti senza limiti.
Se non le si pone freno, saremo nell'anticamera della catastrofe".

Imparare a porre freno a speculazione e profitti senza limiti
è forse il compito della politica per le nuove generazioni.
O no?
Severo Laleo

I partiti, le liste in Italia appartengono





dall’Unità:
"Voto, 215 i simboli: solo il Pd senza nome leader".

I partiti personali, in una democrazia moderna, 
sono un’anomalia, è bene ripeterlo, 
e a sinistra sono un errore insopportabile.
Il problema non è il leader del Partito, eletto, 
e cmq temporaneo, ma il padrone del Partito.
Un Partito, con pratica democratica, non ha padroni.
Sarà il Governo Bersani –oggi il solo leader 
coerente sul punto- in grado di approvare una legge, 
finalmente, di  regolamentazione
della vita democratica all’interno dei Partiti?
Noi si spera.
Un'ultima osservazione.
Per quanto riguarda il fronte più avanzato della Sinistra
di governo in Italia, SEL, dispiace vedere ancora Vendola
nel simbolo del Partito: è ancora l’imitazione di un errore.
O no?
Severo Laleo


giovedì 10 gennaio 2013

"Più donne in politica cambiano la politica", ma solo con il bicratismo

Il Manifesto delle Donne, a cura della Fondazione Bellisario,
pur lodevole e condivisibile nei suoi obiettivi, nasce vecchio e dentro una logica,
non facile da superare, macchiata, purtroppo, di maschilismo conservatore.
E’ vero, d’accordo su questo punto con il Manifesto ,
più donne in politica cambiano la politica”, ma soltanto la parità uomini/donne,
in ogni sede decisionale e di rappresentanza, da sancire con regole chiare,
e senza eccezioni, una volta per tutte, potrà donare alla politica il suo
n a t u r a l e status di un agire comune di genere: il mondo non è degli uomini
(finora è stato così) né delle donne (si spera non sarà così in futuro),
il mondo è di uomini e donne, alla pari, senza necessità di “quote”,
in qualunque campo. E soprattutto con una nuova, di genere, organizzazione 
del potere. Ed è ora di abbandonare con convinzione il monocratismo
di marca maschilista e di approdare al bicratismo di genere: il capo, 
l’uomo solo al comando, anche se donna, il leader carismatico, il monocrate 
sono l’esito culturale di una società a dominio di maschio; una società 
di uomini e donne sceglierà altre forme di conduzione nelle istituzioni 
e nei poteri, e il bicratismo –la coppia- sostituirà il monocratsimo –l’uno-.
Non è più possibile, per la parità, chiedere con una semplice lettera,
con un appello trasversale a tutti i Partiti, comunque diversi tra loro per cultura
e per gestione del potere, di garantire una quota di donne in Parlamento 
(si chiede la presenza "quota" di almeno 400 donne);
non è più possibile, per la parità, chiedere, raccogliere e inviare i curricula
di donne eccellenti, quasi immaginando una semplice riduzione
della politica all'eccellenza, soprattutto all'eccellenza del successo,
ancora una volta il successo, professionale, economico, sociale;
non è più possibile, per la parità, ritenere le donne più utili in Parlamento,
solo perché dotate, semplicemente, secondo le parole della ministra Fornero,
di “più lungimiranza, più pazienza e meno consuetudine al potere”;
non è più possibile, per la parità, chiedere, semplicemente,
la promozione del merito, della leadership e della professionalità femminile”,
non è più possibile, per la parità, semplicemente, chiedere “l’attivazione 
d’innovativi strumenti di monitoraggio dei ruoli apicali della Pubblica 
Amministrazione, delle istituzioni, di enti pubblici nazionali e locali volti 
a garantire l’applicazione di prassi di pari opportunità per l’accesso ai vertici”;
non è più possibile, per la parità, continuare, semplicemente, a inseguire il potere.
Il problema quindi non è chiedere, all’attuale organizzazione, comunque maschile,
del potere, la migliore sistemazione, nel potere attuale, del maggior numero 
di donne, il problema è modificare, con l’approvazione di nuove regole 
di organizzazione del potere, per una democrazia di genere,
l’attuale organizzazione, comunque maschile, del potere.
O no?
Severo Laleo



Ecco il “MANIFESTO DELLE DONNE”
La Fondazione Bellisario vuole ancora una volta essere protagonista del cambiamento, marcando il proprio ruolo di lobby del merito per la promozione delle competenze e professionalità femminili. Per questo, abbiamo deciso di cogliere l’occasione storica delle elezioni 2013 per rilanciare concretamente la sfida della rappresentanza politica delle donne e, con essa, della promozione del merito, della leadership e della professionalità femminili. 
Il nostro traguardo è “Quota 400”, ovvero 400 parlamentari donne nei due rami del Parlamento e per questo abbiamo lanciato un appello trasversale a tutte le forze politiche, inviando loro quasi duecento autocandidature di donne che con slancio e generosità hanno deciso di mettersi in gioco e impegnarsi per il futuro del Paese. 
Il nostro obiettivo è ottenere da tutti i partiti l’inserimento nei propri programmi dei punti contenuti nel “Manifesto delle Donne” che la Fondazione ha predisposto con il contributo del suo network. 
Il nostro Manifesto è la dichiarazione dei temi fondamentali su cui chiediamo un impegno deciso della politica ma è anche la piattaforma del nostro contributo nei diversi schieramenti. Il presupposto è che non esista una politica per le donne ma una politica per il Paese e per il suo sviluppo equilibrato e sostenibile che non si potrà raggiungere senza il contributo determinante delle donne. 
Proponiamo un approccio integrato, basato su tre chiare priorità, che nei prossimi cinque anni agisca a tutti i livelli del gap femminile: nella partecipazione al mondo del lavoro, nella leadership, nella rappresentazione pubblica e mediatica del ruolo femminile. 
LE NOSTRE PRIORITÀ 
1. Politiche integrate del lavoro e del welfare che risolvano il dramma dell’esclusione e dell’abbandono del posto di lavoro da parte delle donne, in particolar modo a causa della maternità e al Sud.
Tra gli strumenti da attivare con assoluta urgenza:
- incentivi alle imprese per l’assunzione delle donne;
- detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminili;
- valorizzazione del telelavoro come strumento di potenziamento della partecipazione femminile;
- strumenti di conciliazione innovativi sia pubblici sia privati, moltiplicazione delle reti di servizi alle famiglie, degli asili e sostegni alla genitorialità condivisa;
- incentivi all’imprenditorialità femminile e canali di microcredito privilegiati con particolare attenzione per i settori delle nuove tecnologie, dei servizi e del turismo
- iniziative di formazione permanente rivolta alle donne funzionale all’ingresso o alla permanenza nel mercato del lavoro;
- eliminazione delle sperequazioni retributive e di carriera. 
2. Costituzione del “Tribunale delle Donne”, sezione specializzata contro i crimini specifici perpetrati nei confronti della popolazione femminile, che porti all’accelerazione e allo snellimento dei processi. 
- Sviluppo di strutture di accoglienza per le donne vittime di violenza e al contempo di strutture di accoglienza nelle carceri dedicate alle detenute madri.
- Politiche di educazione scolastica e campagne d’informazione e prevenzione contro la violenza alle donne e iniziative di sensibilizzazione volte a incentivare la denuncia dei maltrattamenti.
- Adozione di strumenti di monitoraggio e sanzione dell’uso strumentale del corpo femminile nella comunicazione. 
3. Politiche di empowerment femminile volte a consolidare e accrescere l’affermazione di una sempre più solida presenza di donne ai vertici delle istituzioni e delle imprese pubbliche e private. 
Attivazione d’innovativi strumenti di monitoraggio dei ruoli apicali della Pubblica Amministrazione, delle istituzioni, di enti pubblici nazionali e locali volti a garantire l’applicazione di prassi di pari opportunità per l’accesso ai vertici. 


venerdì 4 gennaio 2013

Il carisma da Berlusconi a Monti: leaderini..smo all’italiana




E così anche Monti non ha saputo resistere.
Ha deciso finalmente di iscrivere il suo nome nel simbolo “civico” ,
quasi una contraddizione in sé: Monti, il cittadino più.

Non si sa se Vendola tornerà, si spera di no, a inserire il suo nome
nel simbolo della lista elettorale, ma se sarà il solo Bersani, ancora una volta,
a non essere presente nel simbolo di lista, non si potrà più negare
che a lui solo, al mite Bersani, spetti il diritto di dare,
alle manie italiane del carisma autoritario, formato Berlusconi/Bossi,
quella risposta, democratica, sconosciuta pure al Professore di liberale arroganza,
che nessun altro, proprio nessuno, riesce a dare.
E restituisce un senso all’agire collettivo di un partito, il PD,
in cammino per realizzare una politica di reale partecipazione democratica,
proprio nel paese dei leaderini, spesso roboanti ed evanescenti.
O no?
Severo Laleo

Ancora a proposito di "conservatore"


Grazie all'articolo di  Ilvo Diamanti su la Repubblica.it 
il senso della “conservazione” diventa più chiaro e ampio.
Leggiamo insieme.

Io sono un conservatore

Conservatori. È l'accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un "conservatore". Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

Ebbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L'indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  -  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell'individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  -  di se stessi. La Rete come unico "spazio" di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  -  e ridono, imprecano, mormorano - da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all'altro. Eppure lontani. Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi - distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono "spaesati", perché il "paese" appare un residuo del passato. E la "comunità": un fantasma della tradizione. Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un'immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d'altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  -  in silenzio. Ma preferisco  -  di gran lunga - "conservare" quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell'economia "giusta", della politica come identità. Il "nuovo" come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso.

E non credo abbia torto Ilvo Diamanti.
O no?
Severo Laleo

Liberté, Égalité, Fraternité: Depardieu



  
In Francia, si sa, tutto è GrandeGrande la Patria, Grandi i suoi Figli.
La Grande Patria Francia sa rendere, quando vuole, Grandi i suoi Figli.
Depardieu, figlio tra i tanti della Grande Francia, grazie al suo talento,
e grazie anche alla sua Grande Patria, a tutte le persone Francesi,
d’ogni condizione sociale ed economica, è diventato un Grande suo Figlio.
La sua fama ha varcato, con rapida corsa, nel tempo, i confini della suo Paese,
ma la sua ricchezza, originata dal suo genio, nasce con i colori della sua Francia,
nella Francia, per la Francia, dalla Francia.
Ora la Grande Francia, al di là del suo Presidente, da Grande Patria,
in difficoltà di bilancio, chiede ai suoi Grandi Figli, soprattutto se più fortunati,
di contribuire, più degli altri, al progresso economico della Nazione,
e a tutti, secondo le possibilità di ciascuno, chiede sacrifici.
Tutti hanno risposto, tutti i suoi figli, e, in quantità diffusa e più profonda,
soprattutto i più “poveri”, specie a reddito chiuso e definito.
Ma Depardieu, fugge, indignato Grande Figlio, dalla sua Grande Patria.

Forse il Grande Depardieu ha paura della sua Grande Patria,
che gli possa togliere troppo per aiutare i suoi più sfortunati fratelli (Fraternité),
e non intende, per nulla al mondo, rinunciare alle sue idee (Liberté),
e va a cercare, per soldi, lui, una volta giovane filocomunista
(ma quanti innamorati ha pur contato il comunismo nel ‘900!),
un equo (Égalité) trattamento fiscale nella Russia del compagno Putin.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 2 gennaio 2013

Ora so perché sono conservatore di sinistra




Le parole, specie se negativamente connotate, sono usate, in politica,
anche da chi ha nobiltà professorale, non per spiegare concetti,
ma soprattutto per colpire, e quasi ferire. Oggi è il turno del prof. Monti
a lanciare, da “Radio Anch’io”, a Fassina e Vendola,
l’accusa di “conservatori” e per di più di “sinistra”, con l’aggravante,
per fortuna, dei “nobili motivi” e della “buona fede

Scandisce al microfono il nostro Presidente del Consiglio:
«Vendola e Fassina vogliono conservare per nobili motivi ed in buona fede
un mondo del lavoro cristallizzato, iperprotetto rispetto ad altri paesi.
Io sono per avere in Europa una tutela ancora più avanzata dei lavoratori,
ma con condizioni che favoriscano la creazione di posti di lavoro». 
E più avanti, per ribadire le sue sentenze: «Il polo di destra e di sinistra
sono distinzioni che hanno avuto un significato in passato,
ma oggi ne hanno molto meno. La distinzione è fra chi vuole cambiare il Paese
rendendolo moderno e competitivo lavorando in stretta sinergia con l'Europa
e chi, come a sinistra Vendola e Fassina e a destra alcune posizioni del Pdl,
si oppone a questo cambiamento». 
Fassina e Vendola, e in quei nomi tante altre persone in grandi difficoltà,
sono sistemati per sempre. Sono conservatoridi sinistra, e, quindi, 
contrari a ogni cambiamento. E si sa, oggi, la parola cambiamento, neutra 
per sua natura, diventa  il connotato fondamentale di modernità e competizione.

Ora so perché sono conservatore di sinistra, contrario a modernità
e competizione. Perché, forse con Fassina e Vendola, sono:
contro il lavoro precario e i licenziamenti alla Fornero,
e a favore del posto fisso e del reddito di cittadinanza;
contro la schiavizzazione nel lavoro delle giovani generazioni
e a favore della dignità della persona al grande banco del lavoro;
contro un sistema fiscale a colabrodo, complice di ricchi-sempre-al-potere,
e a favore di una nuova, questa sì moderna, progressività del fisco;
contro il nuovo modo di “vedere la donna” nel mondo del lavoro,
e a favore di una democrazia, piena, ampia e diffusa, di genere;
contro la nuova versione montiana dell’ “uomo solo al comando”,
a favore di una democrazia del conflitto, nel rispetto di regole e persone,
perché a nessun Governo sia consentito andare oltre nel colpire
la dignità della persona, incrementando disagi e disuguaglianze.

Forse se Presidente Monti provasse a governare per nobili motivi
in buona fede, potrebbe andar lontano con i conservatori di sinistra.
O no?
Severo Laleo

Bersani, il Professor Monti e i Guidatori




A conclusione di un suo illuminante (in pessimismo) articolo,  
circa il pericolo di affidarsi a novelli Guidatori per salvare la Patria,
dal titolo, appunto, “Quando arrivano i Guidatori”, scrive, oggi,
Barbara Spinelli su “La Repubblica”:

Quanto ai Re Negligenti, ai politici di vecchio tipo, una sola frase di Bersani
(19 dicembre) dice tutto, o quasi: <<Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49%,
 io preferisco il 49%. Non voglio avere la "tentazione" 
di fare tutto da solo>>. Un suicidio in piena regola, una fervida preghiera
rivolta a noi elettori: di grazia non dateci troppi voti, perché vasta sarebbe 
la tentazione di governare con proprie forze, proprie idee”.

E’ difficile, questa volta, sul punto, essere d’accordo con Barbara
Spinelli, e proprio alla luce delle sue serie preoccupazioni
per le condizioni e la storia della  nostra democrazia.
In verità, la frase di Bersani, almeno si spera, esprime, a suo modo,
le sue stesse preoccupazioni per l’apparire ancora di nuovi Guidatori.

La “tentazione di far tutto da solo” è stata finora la cifra politica
dominante di questi vent'anni di berlusconismo; una tentazione
ancora dominante, pur con tutti i doverosi ed essenziali distinguo,
rispetto a quell'indecoroso passato, nel montiano proclama,
apoditticamente oltre la destra e la sinistra, ma sintetizzabile,
durante una discussione al bar, pressappoco, con parole
di questo tipo: “lasciate fare tutto a me, non fate domande,
ho scritto già tutto iun Agenda, sono io il Guidatore bravo,
anzi appoggiatemi tutti, e salvò l’Italia”. E Casini già conferma,
sempre con parole da bar, “se Bersani si ferma sotto il 50%,
il prossimo premier dovrà essere il Guidatore Mario Monti”.
E non si discute. 
Ora, se Bersani prende le distanze da questo tipo di “tentazione”,
non è per rinuncia, di principio, a “governare con proprie forze, proprie idee
-è abbastanza evidente-, ma è per conoscenza profonda, e mite,
e soprattutto senza professorali proclami, del gioco democratico.
Bersani è tra quanti, nella pratica della democrazia,
parola -scrive Spinelli- che più stenta a sopravvivere
nel discorso pubblico del momento, individuano due fondamentali
aspetti: 1. il senso del limite (la politica senza la comprensione dei problemi
della  vita reale delle persone è un imbroglio pregno d’avarizia);
2. il confronto con gli altri (l’essenza della democrazia è il paziente, a volte estenuante, fino al convincimento comune, dialogo con gli altri).
Forse Bersani sa, con Spinelli, che per salvare l’Italia non c’è bisogno
di Guidatori, e sa anche che per cercare di spiegarlo anche agli altri, 
pur professori, e non solo, rischia di essere frainteso e da più parti bersagliato.
O no?
Severo Laleo