lunedì 28 ottobre 2013

Dal monocratismo al bicratismo...la strada è aperta con il governo duale

Vorrei qui, nel Blog del "bicratismo", trascrivere 
questo articolo, del 2008, di Maria Grazia Napolitano 

Un governo duale

Per Barack l'ultima mela avvelenata della donna che voleva essere regina, così titola un articolo comparso su Repubblica 
a firma di Vittorio Zucconi. Una grande firma del nostro giornalismo che perde l'occasione per cogliere nel segno. Perché non di mela avvelenata si tratta ma di un colpo di genio di Hillary Clinton. 
Lei offre a Barack Obama l'occasione di entrare nella storia 
come primo reggente di un governo duale. 
La storia umana oggi chiede questo. Che a governare i popoli 
sia una coppia, un uomo e una donna, ovvero un presidente 
e una presidente in rappresentanza di quella dualità 
che la natura pone 
a governo della riproduzione umana, un padre e una madre.
Hillary Clinton forse non è consapevole di correggere un errore secolare nell'offrirsi come partner presidenziale. Siamo così abituati a vedere sulla scena della storia un solo reggente, uomo 
o donna che sia, che non riusciamo a riconoscere la massima sapienza nel colpo di coda di Hillary Clinton.
Ma proviamo a pensare che corso avrebbe preso la storia 
se in America Hillary Clinton e Barak Obama avessero deciso 
di proporsi assieme per un governo duale invece di offrirci 
lo spettacolo indecente di una lotta fratricida?
Che corso avrebbe preso la nostra mente di fronte allo spettacolo 
di un uomo e una donna capaci di interloquire tra loro 
per il governo della più grande nazione dei nostri tempi?
Perché a capo di una famiglia la natura pone il governo 
di un padre e una madre a garanzia dei figli, mentre a capo 
di una intera nazione la cultura moderna pone solo uno dei due membri e da sempre e solo di un solo sesso, di sesso maschile?
Questo fa la differenza fra la sapienza della natura e la miopia 
della cultura. 
Come può un individuo da solo assumersi la responsabilità 
di governare un intero popolo? Non avverte una mutilazione simbolica e strutturale?
Io credo che le democrazie moderne hanno bisogno di attingere 
al passato nuovi modelli di governo.
Vicki Noble, nel suo libro "La dea doppia" parla di regalità duale delle amazzoni.
C'è stato un tempo dunque, a giudicare dai reperti archeologici, 
in cui le società vedevano al governo due figure, in quell'epoca 
le due figure erano entrambe femminili.
Un errore anche questo, che la storia ha corretto sostituendo
al femminile il maschile e dandogli il potere assoluto, tipico 
della concezione patriarcale.
Doppio errore. Maschile e assoluto.
Doppio errore di cui misuriamo ancora tutte le conseguenze 
a livello planetario.
La natura ci dota di due occhi per non prendere sviste. Ci dota 
di due orecchie per non prendere cantonate. Di due narici 
per fiutare meglio. Di due reni per purificarci meglio. 
Di due polmoni per respirare meglio. Di due emisferi 
per concepire meglio mentalmente. Di due mani per avere 
una presa migliore. Di due sessi per garantire alla riproduzione 
della vita la complessità che merita.
E chi siamo noi per farci tanto sconto. Per pretendere di mettere 
al posto del Due universale l'Uno universale?
Ma la natura è tanto stupida da aver fatto tutta la fatica 
del doppio inutilmente?
La natura fa economia di tempo di spazio e di risorse sempre. 
E perché doveva fare tanto spreco se il dispositivo biologico 
del doppio, del due, non fosse risultato più conveniente dell'uno,
del singolo.
Perché la sinistra in America, o in Italia in Francia in Spagna... 
nel mondo non cominciano a correggere questa svista umana approfittando del fatto che una donna, in America, forse non volendo, offre l'opportunità di farlo?



Forse solo a sinistra, nei partiti di sinistra, dove la cultura 
della parità uomo donna è più avvertita, è possibile sperimentare/realizzare il "governo duale".
E magari SEL, tra i partiti di sinistra, sarà il primo.
O no?
Severo Laleo





domenica 27 ottobre 2013

Renzi, il futuro, la questione femminile, il governo duale



Paola Pica ha pubblicato, sul Corriere.it, un’interessante, almeno per me,  
riflessione a proposito dei riferimenti al mondo femminile nel discorso di Renzi 
alla Leopolda. La riflessione ha questa conclusione:
il posto delle donne [nel futuro] sembra ancora quello
del passato  Credere di farcela senza le donne, mai citate nemmeno 
nell’annunciare una cosa importante come il job act,
ha però dell’incredibile. Credere che l’Italia non abbia bisogno
di rifondarsi su un patto tra donne e uomini mette un certo disagio. 
Jovanotti, la Vespa, la Nutella, le partite a calcetto.
Un mondo di maschi per bene, giovani e simpatici.
E’ già molto ma non basterà a tenerci insieme.

Non si può non essere d’accordo.
Finché si lascia la Politica, esclusivamente, al gioco e alle lotte
di “leader” (e in Italia, per aggravante, sempre maschi e tifosi
di calcio, se non peggio), sarà difficile trovare, nel futuro,
un  nuovo posto per le donne.
Al contrario, abbiamo bisogno, oggi, per il futuro, di trovare
la forma giusta, forse un nuovo patto tra uomini e donne,
per “tenerci insieme”. E il “tenerci insieme” è la condizione essenziale 
per costruire una sovranità conviviale, alla pari,
a partire da una democrazia di genere nei partiti.

Purtroppo la forma partito dominante, in questo ventennio
della vergogna, è stata rappresentata, spesso, e ancora oggi,
anche nel centrosinistra, da un leaderismo avaro (per usare
un’idea cara a don Milani), senza limiti, tutto al maschile,
tanto arrogante quanto irrispettoso di ogni forma
di condivisione di genere, se non nella riserva di “quote”,
e per gentile concessione.

Solo attraverso il nuovo patto tra uomini e donne sarà possibile esprimere 
anche una nuova forma di leadership, non più
attraverso "un" leader", un uomo solo al comando, magari piacente 
e "ladro" di voti (nel senso, cioè, dichiarato, di voler “rubar voti
a persone di altri schieramenti), ma attraverso una "coppia"
di leader, un uomo e una donna, a sperimentare finalmente
un “governo duale”, dove non ci sia posto per una “prova personale” 
(è la richiesta di Renzi), perché la leadership
non può essere semplicemente un’esperienza di formazione.
Purtroppo la forza frenante dell'abitudine e degli stereotipi
 –se il leader "uno" è sempre esistito, è solo perché è l'esito storico 
del dominio maschile- non ci spinge a capire la portata innovativa 
della "guida duale, di coppia” in una nuova forma partito, 
e ancora ci obbliga a diventar seguaci di “una” persona, e non a essere  parte, 
alla pari, di un “convivio politico”.

Con il governo duale forse tutte le baruffe di personali ambizioni
e di potere tra leader solitari, e troppo spesso maschi, cadrebbero miseramente, 
per non dire di altri mirabili risultati in termini
di educazione al rispetto di genere.

O no?
Severo Laleo


venerdì 25 ottobre 2013

Un Partito Nuovo per il ritorno alla Politica




Oggi, nel giorno di San Crispino, sul Corriere della seraAntonio Polito
con semplici parole di verità, e nostalgia della Politica, ha scritto:
Il nostro sistema politico-parlamentare è letteralmente esploso. E la cosa 
incredibile è che il massimo della frammentazione convive con il massimo 
del leaderismo nei partiti. Il Pd, che pure è il più democratico, è una monarchia 
elettiva (quattro capi in cinque anni, l’unico partito al mondo che incorona 
il segretario con una consultazione del corpo elettorale). Il Pdl è una monarchia 
ereditaria. La terza forza, il M5S, è una diarchia orientale, con un profeta 
e un califfo … Da tre anni il governo della Repubblica non è più espressione 
del risultato elettorale … Da tre anni il governo della Repubblica non è più 
espressione del risultato elettorale ... La soluzione viene di solito indicata 
nelle riforme costituzionali ... Ma neanche quelle basteranno se non si produce 
una profonda rigenerazione morale dei partitirestaurare un nesso, 
anche labile, tra l’attività politica e il bene comune”.
Non si può non essere d’accordo.
Il ritorno alla Politica, con partiti, non solo moralmente,
ma soprattutto democraticamente rigenerati (è l’assenza
di democrazia a produrre corruzione), è fondamentale
per  “restaurare un nesso, anche labile, tra l’attività
politica e il bene comune”.

E’ tempo ora di congressi. E si spera trovi ascolto nel Pd
l’invito di A. Polito; forse, in questa direzione, qualche speranza
è possibile cogliere nelle riflessioni di Barca e nel programma
di Civati (Renzi e Cuperlo, pur da versanti opposti, sono entrambi
in continuità con le vecchie logiche della “monarchia”),
ma, sebbene assente nel discorso di Polito, è SEL, a mio parere,
il partito nato per ricostruire una “nuova sinistra”, ad avere,
in teoria, le carte tra le mani, per indicare, già dal prossimo congresso, 
la strada della rigenerazione della forma partito, inventando e praticando, 
dando l’esempio,  nuove regole per una democrazia partecipativa, tra persone 
dialoganti, alla pari, in regime di piena trasparenza, magari in “convivialità”.
E a seguire il dibattito precongressuale di SEL, anche attraverso
il blog “ApritiSel”, tanti sono, sia tra i giovani, sia nella “base” 
(quella “base” giocata dai leader solo in senso elettorale), sia nella generale 
e inespressa voglia di “contare” nella ricerca viva della soluzione dei problemi, 
i suggerimenti per realizzare il Partito Nuovo.
Purtroppo antichi riti congressuali, ora di stampo burocratico,
ora di falsa rivoluzione (ad esempio l’elezione del segretario di partito 
con primarie aperte all’intero corpo elettorale),
impediscono di fatto, attraverso e nei partiti, la realizzazione
di quel bisogno ineludibile di “estensione della democrazia”.
Eppure, per avviare un processo di rigenerazione dei partiti
e della Politica, occorre costruire il Partito Nuovo.
Ecco qualche proposta.
Il Partito Nuovo è incompatibile con il mito leader
Per l'estensione della democrazia tra le persone, alla pari,
è necessario da subito contrastare ogni residua forma di partito
a conduzione leaderistica (il leaderismo è la forma politica del maschilismo), 
e insieme superare la verticalità dei partiti padronali,
l’orizzontalità dei movimenti atomizzati, la burocratizzazione arrivista e autoritaria 
dei partiti tradizionali (veri luoghi di lotta
di potere). Il Partito Nuovo avrà forma cooperativa.
Il Partito nuovo è per la sovranità conviviale 
La Politica ha oggi bisogno di “più partito”, cioè di un “luogo reale”, fisico, 
dove regole nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari” 
tra le persone, dove la dirigenza sia scelta, almeno per il 50%, per “sorteggio”, 
dove uomini e donne, in spirito di servizio, siedono “in pari numero” nei posti 
di guida, dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, 
ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo maschilista di sempre al bicratismo di genere
del futuro, a una forma duale di direzione, dove non sia l’”IO
a dominare, ma il “NOI” a cooperare), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall'altra, privato, ma possibile solo 
a iscritte e iscritti. Se i partiti e i movimenti, in sé, sono senza regole di democrazia,
trasparenti e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del comprendersi, guardandosi negli occhi, non potranno mai essere
in grado di estendere la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.
 Il Partito Nuovo è per la civiltà dei diritti
Il Partito Nuovo è un partito di servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire
dal proprio territorio/paese/quartiere, non solo, ad esempio, 
per chiedere la riparazione delle buche nell’asfalto delle strade,
ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare
a parlare di libertà dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità.  
Il Partito Nuovo non è più preoccupato
solo di organizzare/dimostrare la sua forza con “una” manifestazione politica, 
chiusa, in un unico “luogo di raccolta”, sempre centrale, ma è soprattutto 
disponibile a organizzare “tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” 
di lavoro politico, e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica 
torni a parlare, non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi
del suo esercizio reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli 
dove dibattito politico e azione amministrativa si incontrano e si fondono.
E per spingere sempre più persone a riflettere sull’urgenza
di costruire una “civiltà dei diritti”, il Partito Nuovo aprirà
una discussione ampia sulla "cultura del limite", perché sia possibile interrogarsi, 
ad esempio, se sia, un obbligo di civiltà, definire un limite alla ricchezza, 
e un limite alla povertà, un limite allo sfruttamento della natura, e un limite all'uso
delle risorse energetiche, un limite alla violenza, di guerra e non,
e un limite alla libertà dei singoli, e…
Ma SEL avrà la forza di rigenerarsi e aprire così la strada
al Partito Nuovo?


Severo Laleo

venerdì 18 ottobre 2013

Cambia il pronome e la politica cambia



Viviamo tempi di gran confusione.
E ognuno di noi, in tempi di individualismo esasperato, vive la sua propria 
confusione. E ognuno di noi esprime la propria confusione con il proprio 
linguaggio. E il nostro linguaggio svela comunque il nostro mondo e insieme
i nostri limiti. E non possiamo cambiare il mondo se non cambiamo il linguaggio. 
Anzi i pronomi.
Un esempio?
In un recente discorso politico il candidato alla segreteria del Pd Renzi 
così esprime, con il suo linguaggio,  il suo mondo: “…il lusso più grande 
per una persona e per un politico è quello di vivere nella relazione, 
[...] ecco cos’è il Pd che sogniamo, [...] un partito in cui ti chiamo 
per nome perché mi stai a cuore, perché è con te, Gianni, che io 
cambierò l’Italia, è con te, Carlo, che cambierò la scuola, è con te, 
Maria, che io riuscirò a entusiasmare le persone [...] Come sarebbe bello 
chiamare il futuro del paese con i nomi dei volti che vedo qui”.
La relazione, non “lusso” ma vita, è qui definita con chiarezza
tra un “io” e un “tu”. Da una parte, un “io”, che per il suo benvolere 
è pronto a darti del  “tu”, a chiamarti per “nome”,
alla stessa stregua della Coca Cola, un “io” che dichiara che “tu”, 
mi stai a cuore” (e si spera questa volta non alla stessa stregua 
della Coca Cola), e, dall’altra parte, un “tu”, di e per compagnia,
di sostegno, chiamato a dar consenso e applauso, un “tu” nel “nome” 
esaltato, ma nella “persona” avvilito, perché ridotto a seguace, 
in una relazione falsa, non alla pari (la relazione è mite
se è alla pari); in breve, una relazione tra un “io”,  parlante, agente, decidente, 
forte, libero, dominante, insostituibile, e un “tu” ascoltante, consenziente, 
dante sì il suo nome al futuro, ma che di quel futuro non ha deciso molto 
e non sa molto. Almeno per ora.
Sia chiaro, la colpa non è di Renzi (anzi povero Renzi, bersaglio d’obbligo 
solo per la sua sovrabbondante visibilità), ma solo della politica, soprattutto 
in questi vent’anni, quale espressione di “un” leader, sempre in Italia maschio, 
e, peggio, tifoso di calcio. E “il” leader, soprattutto in Italia, sa usare, 
per lunga e tragica tradizione, solo un pronome: ”io”. E, s’è visto, la relazione io/tu,
questo tipo di relazione, in politica,  è ambigua, non alla pari.
Immaginiamo ora di abolire, ad esempio, all’interno di un partito, “il” leader, 
e di scegliere, per guidare il partito, una coppia, un uomo e una donna 
(il monocratismo, il comando di “uno” solo, è l’esito storico del maschilismo, 
non esiste altra ragione per scegliere di avere “un” leader), il discorso politico  
non sarebbe più possibile tra un “io” e un “tu”, ma, al minimo, tra un “noi
e un “voi”, non più un insieme di tanti “tu” (vedi i grillini in relazione con Grillo), 
ma di tanti “noi” (vedi la convivialità nel manifesto di Sel), non per altro, 
per forza d’esempio. E cambiando il linguaggio, anzi un semplice pronome, 
cambia anche la visione del mondo, e della politica, perde il suo monopolio 
il maschilismo, nasce una nuova rappresentazione della relazione uomo/donna
(con quali conseguenze in termini di mitezza, e non di violenza, nelle nuove 
generazioni è facile immaginare) e il “noi” s’imporrà dappertutto, tra persone, 
alla pari.
Forse è difficile non essere d’accordo.
O no?


Severo Laleo

martedì 15 ottobre 2013

La nuova retorica del “vincere”: il valore della legalità vs la realtà dell’illegalità



Per la prima volta pare sia giusto misurare il grado di civiltà
di un paese da un…sondaggio. I dati della rilevazione condotta
da Ispo per il Corriere della Sera sono a nostra disposizione
per una serena valutazione. Il 71% degli intervistati  è contrario
ad amnistia e indulto. Solo il 27% dichiara di essere favorevole. 
E il 57% dei lettori del Corriere (moderati e liberali!) si dichiara 
soddisfatto (sic!) dopo aver letto l’articolo.
71% di contrari! Una massa enorme. Una massa attraverso la quale
è possibile misurare il danno provocato nelle coscienze di tutti noi
da vent’anni di egoismo di classe, da vent’anni di danarismo avvilente, 
e di miseria per milioni di persone, da vent’anni di paura per l’invasione 
di immigrati, da vent’anni di caste tra loro omologabili
a prescindere dai partiti di appartenenza, da vent’anni
di maschilismo barzellettaro, vociante e fesso.
In breve, vent’anni di gioia allegra per evasori e condonati.
E di sconfitte tremende per i difensori della legalità.
Per i difensori dei diritti umani, dappertutto, anche nelle carceri.

Ora, dopo vent’anni di scempio, Renzi, nel Pd, inseguendo
l’enorme massa, scopre il valore della legalità, quale valore di sinistra,
ben da utilizzare per stare con i più e per “vincere” (congresso e elezioni). 
Ma la sua logica è pericolosa, e conferma, in continuità con il ventennio, 
la noncurante distrazione, soprattutto di berlusconiani e bossiani, 
e dei molti altri travolti dal ventennio, per il problema delle carceri. 
Tanto chi è toccato dalle carceri? “La feccia umana”, risponde la rabbia 
intrattenibile e non informata. Mentre a guardare le condizioni sociali 
della gran parte dei detenuti, il carcere si trova a rappresentare la sede 
simbolo degli esiti della lotta di classe. Perché se ti capita di andar dentro 
e hai i soldi, non ti preoccupare, il carcere facilmente si aggira.

Qual è il messaggio falso e pericoloso della nuova retorica?
Eccolo, più o meno: “Poiché la legalità è un valore di sinistra
bisogna essere contro indulto e amnistia”. Proviamo a ragionare, 
solo in punta di logica. Lasciamo per un attimo la politica e le scelte 
della nuova retorica del “vincere”.
Se in nome del valore della legalità e per difendere la legalità
si contrastano indulto e amnistia si lascia intendere,ad arte,
che indulto e amnistia siano faccende fuori legalità.  
Eppure per una persona di sinistra se esiste una illegalità
è proprio nel continuare a offendere la persona detenuta
con condizioni carcerarie disumane, fuori ogni norma.
E qui lascio la parola al blog di Giuliano Amato:
“In base ai principi della nostra civiltà e alle norme che in conformità 
ad essi abbiamo adottato nella nostra costituzione e nelle convenzioni 
internazionali dalle quali siamo vincolati, non abbiamo il diritto di mantenere
in vita carceri che somiglino a quelle di un tempo. E quindi non abbiamo 
né il diritto né il potere di tenerci dentro chicchessia, quali che ne siano le colpe
e le responsabilità. Il carcere oggi non deve annientare le persone, deve privarle 
della sola libertà personale e spingerle in questo stato di costrizione 
verso la rieducazione,  vale a dire, in primo luogo, verso l’accettazione
della società (e delle sue regole)  nella quale dovranno rientrare.
Ebbene, le carceri italiane raramente rispondono a questo modello 
e sempre più, invece, accatastano i detenuti in celle sovraffollate, dove nessuno
ha un proprio spazio, dove manca ogni riservatezza, dove mancano l
a doccia, la carta igienica e il sapone, dove ciò che viene alimentato 
può essere soltanto o la depressione o la ribellione. Non certo la rieducazione.  
Se così è,  è vero che siamo tutti dei fuori legge, e quindi il rimedio 
dovrà essere all’altezza di una illegalità tanto enorme.”

E in nome della legalità il PD di Renzi giustifica “un’illegalità tanto enorme”. 
E Napolitano non c'entra niente.

O no?
Severo Laleo


Fazio/Brunetta: antropologia di un diverbio



Il battibecco tra Fazio e Brunetta occupa sui giornali on line
un suo evidente spazio tra le notizie-video.
E tutti parlano di scontro tra due persone, Fazio e Brunetta,
di un battibecco serrato, di una lite in diretta.
In verità, niente di tutto questo (anche se, nel conflitto di pensieri
e parole, Brunetta incassa una civilissima batosta).
Il diverbio non nasce dalle domande, per niente aggressive,
di un conduttore televisivo o dalle risposte evasive e fuorvianti
di un politico ex ministro, né riguarda il Paese e i suoi problemi (Alitalia, Rai), 
ma è il simbolo della rappresentazione, con grande efficacia ed evidenza, 
delle due Italie, l’una di Fazio l’altra di Brunetta.
La Prima Italia, l’altra Italia, forse ancora minoritaria, di tipo liberale, 
alla Gobetti, è costruita sulla serietà del lavoro, sull’etica
della cittadinanza civile, attiva e partecipante (non militante), sull’autonomia 
di giudizio, sulla libertà della competenza,
sulla disponibilità all’apertura agli altri, sul linguaggio 
ora della ricerca, attenta e profonda, ora della leggerezza, acuta
e riflessiva, ora dell’analisi dei costumi, ora della satira pungente, 
sul sorriso mite del dialogo, sul ragionamento critico e propositivo.
La Seconda Italia, la solita, quella di sempre, maggioritaria
nella pancia del Paese, di tipo furba e maneggiona, rumorosa
e insieme silenziosa, a seconda delle convenienze, senza politica, 
alla Berlusconi, si regge sulla corsa al lavoro danaroso,
sulla frenesia del successo, sull’egoismo di classe dei tanti “servi liberi” 
(l’espressione nel suo sintagma è di Giuliano Ferrara),
sul dominante pensiero di riforma vendicativa verso i “fannulloni” 
del pubblico impiego, sulla competenza della fedeltà, sulla rinuncia 
alla critica verso il “capo” (l’Italia, da Sud a Nord, è piena di capi e capetti), 
su una legalità fiscale a giorni alterni, sul linguaggio aggressivo dell’arroganza, 
sull’annientamento dialogico dell’altro, sia se dà fastidio,
sia se non è omologabile, sino al certificato metodo Boffo, incivile e devastante.
La prima, l’Italia di Fazio (e Saviano), la seconda di Brunetta (e Bossi)
E domani, se non diventa chiara questa sperimentata differenziazione/separazione, 
si rischia una sintesi, nell’allegria e nell’entusiasmo del “vincere”, 
tra queste due Italie.
Forse ho esagerato.
O no?
Severo Laleo 

P.S. Non avrei mai immaginato di sentir nostalgia del linguaggio
di Di Pietro…., eppure quando Brunetta, senza rispondere
alla domanda sull’Alitalia, si rivolge direttamente al conduttore
con un riferimento ai suoi compensi in Rai, avrei voluto suonasse alto, 
nell’aula attenta e composta di “Che tempo che fa”, 
un ripetuto e squillante e definitivo: “Che c’azzecca!”.

sabato 5 ottobre 2013

Infierire è un must “fascista”?



Lucia Annunziata è sicura, e su L’Huffington Post confessa:
Non infierirò su Silvio Berlusconi. Perché non sono una fascista”.
Bontà sua.
E scrive: "In ognuno di noi esiste un fascistello. È quello che ci fa godere 
se siamo più belli e più forti di chi ci sta davanti. È sempre lui quello 
che ci induce a sfoggiare i muscoli, a esercitarci contro quelli più deboli 
di noi - i vecchi, gli stupidi, i brutti, i poveri, i neri, le donne, i gay... 
la lista è infinita. Ma il fascista più fascista di tutti è a mio parere 
quella pulsione interiore che ci fa infierire
sui nemici vinti".
In ognuno di noi esiste un “fascistello”?  Mah! Io, non credo.
Anzi, sono certo, non può essere vero, anche perché l'essere “fascista”, 
per giunta, non è solo una questione di carattere
o di "pulsione interiore".
Ho conosciuto, spesso tra adolescenti, a scuola,  "fascisti",
per scelta politica, a volte per atteggiamento di protesta,
ma con un profondo senso del "rispetto" umano, anche per i vinti.
Quel "fascistello" di cui parla Annunziata esprime in realtà
solo la dimensione dell'ignoranza dei diritti della persona
in un qualunque paese civile. “Infierire” è incivile e basta.
Una persona può dirsi civile se sente il dovere
non di “non infierire” su qualsiasi altra persona, qualunque
sia la sua condizione, anche di “vinto” (nel caso in questione,
per verità, convien ripetere: esiste una differenza importante
tra “vinti” e “pregiudicati”), ma può dirsi civile se sente il dovere
di rispettare, in qualsiasi altra persona, la dignità indivisibile propria 
di ogni essere umano.
Non è un problema di “non essere fascista”. E’ un problema
di essere persona civile. Semplicemente. Una persona può ben
dirsi “fascista” per un’idea della storia e della politica
senza necessariamente sentire la “pulsione dell’infierire”.
Forse non era necessario per Annunziata distinguersi per forza dall’inutile 
e volgare parlare di Crimi, perché il parlare incivile
non dovrebbe meritare attenzione. Purtroppo viviamo tempi negativi, 
nei quali per audience/incasso si dà  ascolto a bambini urlanti e forbiti 
in “maleparole” con il risultato, ancor più negativo, di incentivare 
il narcisismo mediatico di spararla sempre grossa.
Crimi non ha in sé necessariamente il “fascistello”;
non ha solo un’idea alta delle istituzioni, anche se può sempre imparare. Forse.
Eppure, l'aver perso il significato serio dei termini insieme
all’usare impropriamente quei termini (fascista da un lato, vinto dall’altro) 
genera, ai fini della comprensione del sentir democratico, molta confusione.
O no?

Severo Laleo

giovedì 3 ottobre 2013

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani …. a Lampedusa



 “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza
della propria persona…”,
ma a Lampedusa muoiono a centinaia i migranti, anche donne
e bambini, tutti in cerca di una nuova, legittima e sacrosanta, speranza 
e possibilità di vita.

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”,
ma i migranti nel mondo sono sempre, come nel canto di  lacreme napulitane
carne 'e maciello”.
           
 “Tutti gli esseri umani sono dotati di ragione e di coscienza e devono 
agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”,
ma nel mare di Lampedusa "tre pescherecci hanno visto e non si sono fermati"

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà … 
senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua,
di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale
o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione … ogni individuo
ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni … 
ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso
 il proprio, e di ritornare nel proprio paese”,
ma i naufràgi nel Canale di Sicilia distinguono sempre
con precisione i barconi da colpire e sono spesso un destino
di morte solo per chi lascia il proprio Paese, anche in cerca di asilo.

Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto 
alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale
e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione
e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili 
alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”,
ma ogni approdo per miracolo sano e salvo alla terra di Lampedusa regala 
a ogni migrante, all’istante, attraverso una legge assurda
e spregiante la umana dignità, il reato di clandestinità.

Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale
nel quale i diritti e le libertà … possano essere pienamente realizzati”,
ma il mare nero di morte di  Lampedusa indica il punto rosso
di un “disordine stabilito”, di un mondo senza solidarietà,
di una “vergogna”.

O no?
Severo Laleo





mercoledì 2 ottobre 2013

Grande!



Quando Berlusconi al Senato chiude il suo intervento, annunciando, al termine di una giornata tragicomica,
d’interesse psichiatrico, la fiducia al governo,
Letta, Presidente del Consiglio, uomo delle istituzioni, 
sorridente e quasi compiaciuto, sussurra: 
E’ un grande”.
E non s’accorge, con quel sorriso misto di simpatia e ammirazione, di offendere tutti i cittadini onesti e rispettosi delle istituzioni.

E’ inutile, tutta una generazione di politici, a ogni latitudine,
sia pure di persone serie, si scopre, all’improvviso,
per un segreto fascino, dannatamente berlusconiana.
Quando finirà?
Credo debba delle scuse a tutti noi il Presidente del Consiglio.
O no?

Severo Laleo

Torna la democrazia liberale dei partiti (da riformare)




Il popolo italiano, anche nei suoi rappresentanti istituzionali, 
quanto a cultura liberale, è sempre stato molto carente.
E se anche è riuscito, nel dopoguerra, a esprimere una Carta Costituzionale 
di grande respiro democratico, tuttavia ancora non riesce a rispettarla 
e a inverarla. Così, a ogni tornata elettorale, il grosso degli elettori 
ha sempre trovato facile piegarsi, per egoismo, pigrizia e per cura del proprio 
orticello, alle volontà di “capi” abili e spesso prepotenti,
e, negli ultimi tempi, anche volgarmente maleducati.
Hanno, quindi, nel nostro paese scarsamente liberale, avuto successo elettorale, 
anche se in maniera diversa, i Bossi, i Berlusconi, i Di Pietro, i Grillo
Tutti con una visione “ducistica” della lotta politica, benaccetta a persone tifose 
e attente al proprio interesse/successo, ma avare verso i beni comuni.

Oggi al Senato, anche se Berlusconi continua a perpetuare
la confusione, qualcosa è cambiato: nel rispetto di un elementare
principio liberale, termina -la speranza è legittima-  l’era del “capo” assoluto,
del padrone del partito, della lealtà vassallatica, dei “servi liberi”.
Torna la pratica liberale del rispetto delle istituzioni,
per una democrazia a normalità europea.
E, a prescindere dal programma di governo, ogni persona sinceramente 
democratica, non può non essere contenta.
Anzi, a questo nuovo governo, si sarebbe potuto esprimere
un voto favorevole,  e penso a Sel, pur solo sulla base
di un impegno a tornare alla democrazia “normale”,
magari con la richiesta di una nuova legge
per costituzionalizzare  la “forma partito”.
E il voto di Berlusconi a un governo gradito anche a Sel,
sia pure limitatamente alla “questione liberale,
con la rottura di una fase padronale della politica,
sarebbe apparso sconcertante nella sua strumentalità.

Ma il ritorno alla democrazia dei partiti non può essere
un ritorno alla partitocrazia e alle manovre della “casta”,
al contrario deve esprimere, almeno a sinistra, un impegno nuovo, 
con nuove generazioni, per l’estensione della democrazia
attraverso regole di partecipazione democratica certe, trasparenti
e definite e per legge. Si tratta di realizzare la democrazia
delle persone, uomini e donne, alla pari, anche attraverso il metodo del sorteggio 
per l’assegnazione di una carica, sempre a durata definita,
la democrazia delle mille comunità, sparse ovunque
nel territorio, magari attraverso una sovranità conviviale, della cooperazione, 
del dialogo, del guardarsi negli occhi, della relazione solidale, una sovranità, 
in breve, non solo elettorale. E con un auspicio: la fine della forma unica 
del leader, del monocratismo, a favore di una forma duale, di coppia, 
un uomo e una donna.

Forse il futuro politico non sarà più nell'entusiasmo travolgente
di un popolo al seguito di un leader trascinante e solitario ,
non sarà più nei ”soldati di Silvio”, nei “vaffisti”di Grillo,
e, per altri versi, nei “rottamatori” di Renzi.
O no?
Severo Laleo


P.S.
Se il popolo italiano non ha un reale retroterra culturale liberale,
e non riesce ad avere un’orgogliosa e permanente memoria
della lucidità etica e politica del liberale Piero Gobetti, è vero,
è anche colpa della scuola, e non degli insegnanti, 
ma di chi ha avuto la responsabilità politica del governo della Scuola.
L'educazione civica appare per la prima volta nel 1955,
timida e dimezzata, e ancora oggi non concentra con forza
l’attenzione sull'interiorizzazione dei principi costituzionali.
Ai tempi di Antonio Gramsci studente elementare, 
gli 88 articoli dello Statuto Albertino -scrivo a memoria- erano argomento
di interrogazione per superare  un esame; oggi non è più
un obbligo chiedere a studenti di liceo neppure i più importanti
articoli della Costituzione o della Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani. Eppure senza la cultura dei diritti non esiste libertà.