giovedì 7 maggio 2015

La scuola di Forquet su Il sole 24 ore: l'ideologia della destra non liberale



Grazie alla Gilda, leggo su Fb quest’articolo di Fabrizio Forquet
su Il Sole 24ore. Un articolo perfetto, almeno per comprendere
la “violenza” di un revival di un’ideologia di una destra illiberale, 
desiderosa di comandare e controllare, contraria alla libertà dell’insegnamento, 
e con la pretesa, indiscussa, di costruirsi una scuola a suo esclusivo servizio.
Ed è illuminante per comprendere il conflitto politico e culturale
in atto oggi tra questo Governo di centrosinistra (e i suoi aperti sostenitori 
di destra) e il mondo della scuola in rivolta.

Merita una lettura integrale il testo del Forquet, con, tra parentesi, in corsivo, 
qualche osservazione. Per un contraddittorio.
Esordisce il Forquet con l’anafora. “Chi ha paura del merito?
(si apre con la retorica della paura per una volgare propaganda;
la paura è dei codardi, sempre, ma il merito con la paura non c’entra;
eppure una società basata sul “merito” -ammesso si trovi un accordo
sul significato inesauribile di “merito”- è una società “violenta”,
perché trascura e condanna all’indegnità i “non meritevoli”,
quasi sempre “bisognosi”).
Chi ha paura della valutazione? (si ripete la retorica della paura
per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la valutazione con la paura non c’entra; perché la valutazione
è solo un utile strumento per i più disparati interventi di politica scolastica, 
non esiste una valutazione e basta, di per sé risolutrice
di tutto). Chi ha paura di una governance che privilegi la qualità 
dell’insegnamento e l’efficienza organizzativa? (continua la retorica 
della paura per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la governance con la paura non c’entra; il problema è discutere, 
senza ideologismi, quale sia, nel luogo delle relazioni per eccellenza, 
la scuola, la più utile governance per garantire il “successo formativo”; 
“qualità dell’insegnamento e efficienza organizzativa”, senza la definizione
di un fine, sono pura ideologia). La sfida portata ieri in piazza
dai sindacati della scuola è molto più di una protesta sindacale.
C’è in gioco il futuro che vogliamo (chi?), il discrimine tra chi si attarda 
nella rivendicazione corporativa del mondo che fu e chi prova a cambiare 
almeno un po’ (ancora la retorica dell’opposizione nuovo/vecchio 
per una volgare propaganda; e torna il nemico
“i sindacati”, sempre “corporativi”, per ideologia; ma ieri in piazza
non c’era il “sindacato”, ma solo persone in protesta civile).
Ci sono migliaia di insegnanti in Italia, forse la maggioranza,
che vogliono una scuola che cominci finalmente a premiare
i migliori docenti (torna l’ossessione ideologica, infantile,
del premio/castigo, con la sicurezza, per ideologia, di avere il metodo
sicuro per separare i “migliori” dagli altri), che insegni quello che più serve 
a un ragazzo (sicuramente non suo figlio) che dovrà trovare
un buon lavoro (e qui l’ideologia dà il meglio di sé e si scopre
con chiarezza fino in fondo: la scuola è al servizio del “buon lavoro”,
non deve fare altro) che faccia della qualità dell’istruzione, misurata 
attraverso una valutazione, la sua ragion d’essere (ormai senza più remore: 
l’ideologia sceglie l’istruzione “misurabile” quale “ragion d’essere” 
della scuola, altro non è dato; la formazione avrà un senso? la coscienza 
critica sarà misurabile e valutabile? Per la destra non liberale
è il massimo del successo). C’è poi un blocco sindacale che guarda
con diffidenza a tutto questo, che trasforma un diffuso – e più
che legittimo (grazie!)– malcontento in un potere forte
di conservazione e spirito di rivendicazione, che fa male
alla scuola italiana e agli studenti che la abitano (tornano i luoghi comuni 
dell’ideologia già sopra marcati).
Il disegno di legge del governo si inserisce esattamente in questa tensione. 
Prova a cambiare (ancora il mito del “cambiamento”, mentre, a leggere 
la storia, è solo un ritorno al “vecchio”). Prova a farlo spingendo in favore 
dell’autonomia (l’autonomia è solo un importante strumento, non altro)
e dei poteri (i poteri, ecco il fulcro della “nuova” ideologia) dei presidi, 
prova a premiare il merito (non si diffonda in giro l’entità del premio: 
la nostra dignità di paese europeo potrebbe essere seriamente scalfita
dei docenti e a rafforzare i criteri di valutazione, prova a mettere al centro, 
sul modello tedesco, l’alternanza tra scuola e lavoro (il fine ultimo 
della buona scuola).
Su questa linea, coraggiosa (il coraggio di tornare al “vecchio”),
la #buonascuola di Matteo Renzi rischia però continuamente
di perdere pezzi sotto la pressione delle resistenze sindacali
e di una parte dello stesso Pd (i cattivi sono individuati: il mondo
della scuola in protesta è inesistente). Per ultima, nei giorni scorsi,
è stata limitata proprio l’autonomia dei presidi, uno degli aspetti migliori 
della riforma (non era un caso, dunque: e forse un intervento esterno 
nella scrittura del ddl è sospettabile). Il preside non elaborerà più il piano 
dell’offerta formativa, ma dovrà condividerlo con il collegio dei docenti 
e con il consiglio di istituto (che noia!). 
Anche nella scelta dei docenti da premiare il dirigente dovrà convivere 
strettamente con il consiglio di istituto e il comitato di valutazione (che noia!). 
Rispunta, così, una mentalità collegiale nella gestione dell’istruzione 
che ha fatto fin troppi danni da quando si è affermata negli anni 70 
(finalmente è detto: bisogna cancellare il ’68, desiderio già dell’ottima 
Gelmini; si registra qui il dolore sincero dell’ideologia del Forquet; 
e purtroppo, qui, il buon docente, abituato all’empatia, sconosciuta 
al Forquet, alla fine partecipaal suo dolore). 
Sulla scuola, poi, si ritorna a investire. È un bene. 
Ma ancora una volta si investe troppo in stabilizzazioni e nuove assunzioni
(il precariato, si sa, è una risorsa), piuttosto che in laboratori
e nel potenziamento di informatica e inglese (l’ideologia delle “i”:
a volta ritorna). I premi al merito, che la riforma meritoriamente introduce, 
dovevano assorbire il 70% delle risorse destinate
agli aumenti retributivi, invece ne assorbiranno solo il 40%,
il resto sarà destinato agli scatti di anzianità (e qui il suo dolore
è ancora più risentito).
Se c’è quindi un rischio da evitare è quello che gli obiettivi
della riforma vengano via via vanificati nel suo percorso parlamentare.  
Il periodo elettorale in cui ci si ritrova a discutere
di scuola in Parlamento, con gli insegnanti in piazza, rende questo pericolo
ancora più acuto (mannaggia!).
Ma Renzi (ecco la ripresa) ha già dimostrato, quando si è trattato di portare 
a casa il Jobs Act, di saper sopportare un livello di scontro elevato 
con il sindacato. Dopo aver vinto sul lavoro, non si può cedere proprio 
sulla scuola, la riforma simbolo di un governo che vuole il cambiamento 
(il dolore, alla fine, dura poco, e torna subito il fuoco battagliero della lotta 
dura contro i sindacati insieme all’elogio delle doti da vincitore del Premier 
per il cambiamento: e qui il rifiuto dell’agire in spirito di democrazia 
è pericolosamente chiaro).
Un’ultima considerazione va fatta sulla data scelta dai sindacati
per lo sciopero. Che credibilità può avere domani in classe
un docente che si trova a spiegare ai suoi studenti che i test Invalsi 
– le prove attraverso cui lo Stato ha cominciato a valutare i livelli 
di apprendimento e dunque la qualità dell’insegnamento – ieri non
si sono fatti perché proprio in questa data è stato fissato lo sciopero 
degli insegnanti? Se l’etica dei comportamenti (eh, no, l’etica no, non ammorbi 
questo suo finale di articolo, caro Forquet, con un elogio, diretto, dell’etica, 
mai citata prima per la qualità dell’insegnamento, ma indiretto di questa logica: 
“maestro”, stai a posto tuo, da “dipendente”, non puoi permetterti
di scioperare se ci sono le prove Invalsi! Incredibile!) è il primo valore 
che un “maestro” è chiamato a trasmettere ai suoi alunni, come è possibile 
che nella scuola italiana non è partita una rivolta contro la decisione di fissare 
lo sciopero proprio in questa giornata? (com’è possibile? forse la sua idea/conoscenza 
del mondo della scuola non risponde alla realtà.
O no?).


 Severo Laleo

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