mercoledì 6 aprile 2016

A proposito di slogan: la lingua non ha padroni e le parole sono ribelli



Se il Premier, dinanzi ai membri del suo Partito, pronuncia,
secondo i resoconti di stampa, la frase:
se sbloccare le opere è un reato, io lo commetto
e nessuno sente il dovere di fermare il discorso e di chiedere oltre,
significa si è persa, alla grande, anche in quel che resta
di un grande Partito, la capacità culturale fondamentale
necessaria per giungere a meditate decisioni: la capacità di distinguere.
Il significato delle parole appartiene a chi parla,
solo se chi ascolta è imbambolato dall’emozione dei toni
e dei suoni. Dinanzi ai magistrati, pare abbia sostenuto
la Ministra Boschi, a conferma della linea del Segretario del suo Partito:
volevo solo sbloccare le opere”. S’immagina sempre a fin di bene,
per sviluppo, lavoro, ricchezza. A prescindere da ogni altra considerazione. 
Senza interrogarsi. Senza approfondire. Senza distinguere. Semplificando.
Povero Benedetto Croce, il liberale Croce, ha speso la sua vita di uomo
di lettere e filosofia a praticare e a insegnare a noi italiani/e  l’arte
della “critica”, del distinguere e si trova oggi ad ascoltare discorsi illiberali
(se l’io è la fonte del Potere) e slogan maligni.

Sbloccare le opere” è slogan troppo generico, costruito per colpire
gli ingenui e confondere le questioni; è slogan maligno, perché sposta 
l’attenzione, con sornione sorriso di intesa sarcastica, su quanti
si permettono di indagare, in cerca di reato, per “bloccare le opere”;
è slogan connotato di narcisismo, perché introduce, a imbroglio,
il coraggio di andare contro la Legge, da eroe, sempre a fin di bene 
naturalmente (purtroppo in un Paese a scarso senso civico diventa facile, 
anche per un’alta carica istituzionale, assumersi, disdicevolmente,
la responsabilità di commettere un reato, sia pure per gioco di parole).

Ora, sbloccare un’opera, si sa, non è di per sé reato, non c’è quindi
la benché minima necessità di mostrare il petto in fuori; non è mestier
di Governo ingarbugliare le parole, senza distinguere,
anche perché le parole son gelose del significato.
Il Governo ha il dovere, al contrario, esercitando l’arte del distinguere,
con l’attenzione vigile e la partecipazione corale di ogni istanza democratica, 
di valutare, con il pensiero esclusivamente rivolto
al benessere delle persone, i confini entro i quali un’opera è davvero 
sboccabile”, per l’interesse generale e non di gruppi.
Il problema non è snellire e semplificare. Altri, dei privati, saprebbero
far meglio del Governo, specie in Italia, se avessero mano libera.
Ma il dovere delle Istituzioni è governare la complessità
in trasparenza e responsabilità. A volte fissando paletti insormontabili.
E’ facile sbloccare e basta; basta un emendamento ad hoc; forse è più difficile, 
ma d’obbligo, saper guardare in profondità a tutte le conseguenze di ogni atto, 
esclusivamente, è bene ripetere, esclusivamente, nell'interesse
e a tutela del Bene Comune. 

O no?
Severo Laleo

lunedì 4 aprile 2016

Elogio (antico, rituale, irriflesso) del monocratismo. E il rifiuto (irriflesso, immotivato) del governo duale





Scrive Eugenio Scalfari nell’editoriale del 3 Aprile:
«Il tema della democrazia è stato più volte riproposto
da quando Renzi ha preso il potere nel 2013 come segretario 
del Pd prima e di presidente del Consiglio poi.
Da allora Renzi comanda da solo con il suo cerchio magico 
composto da suoi più fedeli collaboratori. Ho più volte criticato 
questa tendenza autoritaria, connessa anche
ad una riforma elettorale maggioritaria e ad una riforma 
costituzionale di trasformazione- abolizione del Senato. 
Fermo restando - per quanto mi riguarda - la più netta 
contrarietà a quelle due riforme (elettorale
e costituzionale) ho invece rivisto la mia contrarietà
al comando solitario. L'ho rivista per due ragioni: la prima 
riguarda l'estrema complessità dei problemi che oggi ogni 
governo deve fronteggiare nel proprio Paese, in Europa
e nel mondo.
La seconda sta nella constatazione che una società globale 
complica ancor più la complessità dei problemi
e la maggiore rapidità necessaria per risolverli.

Ma c'è una terza ragione: in tutto l'Occidente democratico 
esiste un Capo che comanda da solo: il cancelliere 
in Germania, il premier in Gran Bretagna,
il presidente della Repubblica in Francia, il presidente 
degli Stati Uniti d'America. Solo per ricordare gli esempi
di maggiore importanza. Questi esempi non configurano 
dittature: esistono contropoteri adeguati: i Parlamenti,
le Corti costituzionali, la Magistratura. Questi poteri ci sono 
e vanno comunque rafforzati. Entro questi limiti l'esistenza 
di un capo dell'Esecutivo che sia al timone non desta 
preoccupazioni».

Scalfari, quindi, dopo anni di riflessione e studi, scopre
la necessità, per la soluzione in complessità/rapidità
dei problemi, di avere “un capo che comanda da solo,
sia pure entro dati limiti”. Scopre, in una parola,
la necessità della continuità storica del monocratismo
al Potere (anche se “sunt … certi fines”).
Ma qual è l’origine del monocratismo? E’ forse un’origine 
animalesca? Un’origine esclusivamente causata
dal primordiale dominio del Maschio Alfa? Un’origine istintiva, 
naturale, fuori logos e civiltà?
L’organizzazione sociale del Potere pare comunque  
ancora riflettere quell’origine, sia pure con tutti i limiti raccolti 
dalla Storia lungo il suo percorso.
Il monocratismo sembra essere l’esito naturale
di una storia tutta al maschile, e insieme l’esito culturale
di un assoluto predominio del maschilismo, soprattutto
nelle istituzioni del Potere.  
Si può ancora sperare di risolvere la complessità
dei problemi con una struttura di Potere di tipo monocratico
con un’origine così marcata sul piano dei generi?
Non è auspicabile tentare di superare il monocratismo
con un Governo Duale? Un uomo e una donna
al Comando da soli?  Sempre of course entro definiti limiti.
Ognuno può liberamente immaginare la portata
delle conseguenze a cascata nei comportamenti sociali
e di relazione. E ogni persona, soprattutto se di cultura 
liberale e di sinistra, in quanto impegnata nel processo
di estensione della democrazia reale, non può lasciar cadere 
nel vuoto la riflessione nel merito.
Forse difendere il monocratismo,  proprio a partire 
dall’Occidente, non è il massimo.
O no?

Severo Laleo

domenica 3 aprile 2016

Il nottetempo per l'emendamento sacrosanto e il Tar per la trasparenza



Davvero strano il nostro Paese. Anche per l’uso della lingua,
specie quando è nelle mani della classe dirigente politica. Non da oggi.
Si sa, in politica, il dire non sempre corrisponde al fare, e spesso serve
a perpetuare il vecchio con le mentite spoglie del nuovo.
Il vecchio è vischioso, si sa, ma il nuovo già fatica a svincolarsi dalla pania.
Purtroppo niente cambia nella cultura politica di questo Paese.
Un Paese da sempre senza una profonda educazione comune liberale, 
(anzi in questo campo abbiamo toccato il fondo: 
a parlare di “Rivoluzione Liberale” è stato Berlusconi, che altro dire!), 
un Paese attento esclusivamente alla coltivazione del proprio orticello, 
pronto a chiudere un occhio o due, un Paese privo del senso 
del Bene Comune, con una cultura (si fa per dire) intrisa dappertutto 
di familismo amorale, e molto spesso di maschilismo da scettro 
del Comando, a volte sporcaccione.
In un Paese dall'inesistente senso civico*, facilmente le parole perdono 
significato. E tra il dire e il conseguente fare s'aprono falle.
Tuttavia, prima di entrare nel merito, s’impone una precisazione,
solo per non trovarsi senza merito nell'albo dei “gufi”:
il discorso per un caso tocca questo Governo, e non è di proposito
contra Renzim, al contrario si tratta di una riflessione generale,
valida oltre la situazione attuale. Valida, per principio, sia sul piano
dell’uso della lingua e della sua correttezza semantica, sia sul piano
della conseguente irreprensibilità di comportamento. In breve,
è solo colpa della cronaca se il discorso tocca Guidi, Renzi, Boschi;
e non è polemica del momento, ma discorso pedagogico
(si spera, con qualche presunzione).

1. L’emendamento sacrosanto.
Se la competente Ministra Guidi (è nel ramo industriale, si può dire,
dalla nascita), per aver, pare, concordato un emendamento sacrosanto
con la scrupolosa Boschi (attenta, per sua ammissione, a non subire
i condizionamenti dei “Poteri Forti”), e con l’appoggio pieno
del suo Premier (anzi, in confessione presso l'Annunziata, il Premier 
rivendica la paternità dell'emendamento), se la Ministra Guidi,
attenta, quindi, a seguire, per dovere d'ufficio, un sacrosanto emendamento,
è stata costretta alle dimissioni, solo per l'intercettazione
di una sua telefonata, innocente, in buona fede, 
di affettuosa premura, nell'anticipare il già noto,
al suo compagno, qualcosa non torna. 
Se l’emendamento è sacrosanto, se esiste l’accordo nel Governo,
se la volontà diretta del Premier è tutta nell'emendamento,
se la telefonata è tra conviventi (e non conniventi),
se non rivela segreti, se “sacrosanto”, a leggere il Dizionario Treccani,
vuol dire: “certissimo, giusto, ben fatto o ben detto, meritato”,
perché la Ministra Guidi è stata costretta alle dimissioni?
Per una telefonata intorno al sacrosanto emendamento?
Il sacrosanto è sacrosanto. Sempre. Eppure non giunge mai furtivo, nottetempo. 
O no?

2. La trasparenza
L’idea di aprire la Pubblica Amministrazione alla Trasparenza
è ormai vecchia di decenni. E, per giunta, è diventata, a ripetizione,
un ‘idea da sfruttare, comunque, da parte di più partiti,
in ogni campagna elettorale, per convincere cittadine/i sempre
più deluse/i, non a torto, dal ceto politico, a partecipare
e a schierarsi con il voto. E si crede, a buona ragione, sia diventato
un costume d’obbligo di ogni amministratore.
Eppure, anche in presenza di leggi da tempo approvate,
la Trasparenza tarda a mostrarsi proprio nella Pubblica Amministrazione
e nella Politica. Così l’idea semplice, civile, moderna,
naturale in democrazia, di aprire ogni atto della Pubblica Amministrazione
alla pubblica visione, diventa materia controversa. Addirittura da Tribunale.
E capita così, anche ad Amministrazioni di antica tradizione democratica,
è il caso di Firenze, di incartarsi opacamente proprio sull’idea
di Trasparenza. Ora, se la Trasparenza è insita, per legge e per cultura,
a ogni atto/documento della Pubblica Amministrazione,
perché tanta resistenza? Perché per avere la possibilità di vedere,
leggere, approvare, criticare gli scontrini delle spese di Renzi sindaco
(la cronaca tocca ora Renzi, ma il discorso è per tutti, sempre)
è stato necessario l’intervento del Tar?
La Trasparenza è trasparenza e non ha bisogno di sentenze del Tar**.
O no?
Severo Laleo

*Scrive Pasquino il 24 Marzo nel suo Blog “Qualcosacheso
A mio modo di vedere, la scomparsa delle culture politiche in Italia è dovuta anche 
alla povertà dell’insegnamento della storia e della Costituzione e all’impossibilità 
di discutere di politica, delle ‘cose che avvengono nella polis’, nelle scuole 
di ogni ordine e grado della Repubblica. Molto ambiziosa, ma assolutamente importante, 
sarebbe una ricerca a tutto campo su quello che è avvenuto nelle scuole italiane 
negli ultimi due o tre decenni. Non possiamo aspettarci che “La buona scuola” 
recuperi il tempo perduto né che riesca a formare cittadini politicamente consapevoli, 
ma, almeno, salviamoci quel che resta dell’anima, evidenziando la carenza di base:
l’inesistenza di senso civico, con tutte le conseguenze relative, uso un termine per tutto, 
alla corruzione della Repubblica”.

**Interessante nel merito questa riflessione di Paola Caporossi su HP 

giovedì 17 marzo 2016

Le trivelle perforano il mare magnum del Pd



Grazie alle trivelle, il Pd è diventato davvero il mare magnum
della Politica Italiana. Anche se, in verità, il caos è profondo
in ogni settore dell’arco partitico, a destra, a centro, a sinistra.
E da tempo. E forse bisogna anche correggere un diffuso sentire.
Questo: si crede, d’ogni parte, che le differenze tra destra
e sinistra siano scomparse. Non è vero. E’ un inganno.
Non sono scomparse le differenze oggettive tra destra e sinistra,
in quanto “luoghi” di deposito di idee e valori e programmi,
ma sono scomparse solo le differenze soggettive tra leader 
e gruppi dirigenti di destra e sinistra, a causa sia di una generale pochezza 
culturale insopportabile, sia di un’appiattita, indifferenziata, omologante 
ambizione di Potere. Il fine è vincere. Anzi comandare.
Agguantare il Potere. Con chi ci sta. A prescindere. 
Con il fine di continuare a detenere il Potere. 
E questa esaltazione del Potere, fatto triste in sé, ha offuscato, 
imperante un diffuso costume politico ad alta maschilizzazione,  
la “cultura della differenza”, rendendo più afona 
la voce di tante donne presenti nella dirigenza politica in ogni settore. 
L’autonomia loquace della differenza si è piegata 
all'esigenza muta dell’obbedienza.

Ieri Monti ha ben elogiato la Merkel, perché governa da grande statista, 
rispettando, al di là di ogni giudizio nel merito,
una sua idea di Governo, senza timore dei sondaggi
e di perdere voti. "Non segue il vento, ma governa".
Con un'idea di Germania, di Europa, di Mondo.
E di bene comune. 
Monti, Merkel. Gente pensosa, seria, oltre i sessanta e i settant’anni.
Al pari di Hilary Clinton, Sanders, Trump.
Ma qual è la differenza tra Trump, Hilary e Sanders? L’età?

Il processo di civilizzazione della società non giunge a segno
attraverso la lotta tra vecchio e nuovo, tra giovani e vecchi,
tra velocità e lentezza, tra arditi e schivi, 
ma attraverso la lotta tra competenti e incompetenti, tra seri e faceti, 
tra riflessione e comunicazione, tra costruzione di lunga durata 
e successo a breve, tra violenza e mitezza. 
Tra i Trump e le Merkel.

Ma quanto ancora bisogna aspettare perché le persone “serie
(la serietà tanto cara al liberale Gobetti), stanche della volgare 
approssimazione politica dell'oggi, e della sua sfacciata disonestà, 
diano inizio a una rivoluzione culturale, etica (semplicemente
in nome dell’onestà) e, attraverso l’esempio, pedagogica, 
nel segno della ricostruzione del pieno rispetto, per una democrazia civile
e paritaria, della legalità, della trasparenza assoluta e del bene comune 
in termini di dignità del vivere?
E dove si rinchiudono, schifati della politica, gli intellettuali?
E’ ora di uscire all'aria aperta, a parlare e ragionare con ogni persona, 
a interrogarsi davanti ai molte/i, a smontare i falsi miti,
a convincere per difendere il bene comune.
Oggi questo bene comune passa sia per la difesa dell’ambiente, 
bene essenziale e indisponibile, impedendo, ad esempio, alle trivelle di ferire
la nostra più invidiata risorsa, la natura dei luoghi,
sia per la difesa della democrazia reale nel rispetto del verdetto
di milioni di italiane/i al referendum del 2011 per l’acqua pubblica, 
anche nella sua gestione, 
sia per la difesa della nostra Costituzione, specie se la sua riforma 
non è tanto il risultato meditato di un interscambio 
tra ogni tipo di cultura politica presente nel paese reale, 
proprio nel rispetto dell’originario spirito della Costituzione stessa, 
quanto un atto di prepotenza/violenza della maggioranza di governo,
testarda nel rifiutare la mitezza del dialogo.

E così oggi il Pd, il più grande partito presente in Parlamento,
e così oggi il Premier, il “più coraggioso degli ultimi quindici anni
(e a parlare è Marchionne, un uomo di successo),
e così oggi il Segretario più decisionista di tutti i tempi del Pd,
tutti insieme, Pd, Premier e Segretario, chiedono alle persone del Pd,
in occasione del prossimo referendum sulle trivelle, di “astenersi”, 
dettando una versione nuova, moderna e veloce dell'andare al mare. 
Nel ricordo di Craxi.
E così il Pd, grazie alle trivelle, diventa un mare magnum,
confuso, caotico, illogico, inutile, pauroso e pilatesco.
Ma con una gran furbizia in petto.
O no?

Severo Laleo


martedì 1 marzo 2016

8 Marzo 2016. Quest'anno le mimose...

Persefone, gioiosa figlia di Demetra, esce nei fertili e colorati campi 
della sua terra,  insieme ad altre compagne,
libere e serene, a raccogliere fiori. Sognando la bellezza.
L'armonia.
E curiosa si allontana,  nella natura amica, per raccogliere
un fiore affascinante, un narciso.
Ma non riuscirà il narciso a donarsi, perché un uomo nero,
apparso all'improvviso dal profondo buio della terra,
coperto di armi violente, la rapisce,
lesto a tornare nel buio, per nulla toccato dalla disperazione 
delle sue grida angosciose.
Per farla sua. Con la forza brutale, senza una parola.
Nel dolore sconfinato della madre Demetra.

L'uomo nero non è morto, vive da sempre nell'antro
di un desiderio violento. Anonimo. 
E uomini neri si nascondono nel buio,
e all'improvviso escono a rapire, dovunque,
la gioia di Persefone, di Kore, delle ragazze.
Per marcare l'antico rito del possesso,
senza una parola, con la forza. 
Contro il dolore di ogni madre.

Nella notte di Capodanno è successo a Colonia, 
nella Germania del XXI secolo. L'uscita gioiosa, per festa, 
di molte ragazze è stata spezzata da un'aggressione vile, sprezzante.
A rapinar con mani gli oggetti del desiderio. Fuori civiltà. 
A queste ragazze, sole per strada a raccogliere, liete,
gli attimi nuovi di vita del 2016,
a queste ragazze, colpite a sorpresa, nel buio,
pur sognanti l'armonia di una città amica,
a queste donne, a ogni Kore dovunque nel mondo,
quest’anno, le mimose dell’abbraccio.

Severo Laleo  


domenica 28 febbraio 2016

Un’idea di Politica nel vuoto volgare dell’oggi




Il 28 febbraio 1986, a Stoccolma,  fu assassinato Olof Palme,
Primo Ministro della Svezia  e leader del Partito Socialdemocratico Svedese. 
Ancora ignoto il colpevole. 
E quindi forse noto!

Le parole sue di seguito mostrano chiara la differenza, abissale,
nel servizio alla Politica,
tra il Vuoto dell'oggi, spesso volgare e arrogante,
tutto dominato da un'idea di Potere,
semplicistica e senza vigore sociale,
e il suo Progetto di Riforma Democratica, tutto fondato,
a prescindere dalle forme dell'agire politico,
sulla solidarietà sociale con il suo potere di empatia.
Qull'empatia oggi indicibile e spesso trasformata in omaggio.
O no?

Ecco le parole di Palme:  
"La mia fondamentale conclusione è la seguente: 
dobbiamo adoperarci per vivere in una comunità 
in cui la solidarietà sociale abbracci tutti i suoi membri 
con un potere di empatia in cui ognuno si fa carico 
della qualità della vita degli altri 
con un sentimento di responsabilità e di partecipazione 
che supera gli egoismi individuali. 
Una società, cioè, in cui non c'è un "loro" e un "noi" ma c'è solo un "noi". 
Questa è l'idea di base di una riforma democratica della politica 
che può trovare un equilibrio tra la giustizia sociale e la libertà individuale".
(Aldo GarziaOlof Palme Vita e assassinio di un socialista europeo, 2007).

P.S.
Trovo oggi, 3 Marzo, in un post di Papandreu su HP, altre illuminati parole 
di Palme a proposito di migranti. Parole d'obbligo per questo Blog, 
in quanto sembrano fissare, una volta per tutte,
un "limite" insormontabile all'egoismo vile di un'Europa 
oggi smarrita, perduta, senz'anima di fronte alla disperazione 
dei nuovi perseguitati della Terra.
Ecco le parole di Palme nella citazione di Papandreu:
"Non dimenticate che quando apriamo le braccia ai perseguitati della Terra, 
non solo creiamo legami d'amicizia permanenti, 
non solo arricchiamo la nostra cultura, 
ma contribuiamo a cambiare le sorti di questi paesi 
che vivono sotto i regimi autoritari". 

mercoledì 27 gennaio 2016

Nota minima per Calabresi, neodirettore, a margine del suo Editoriale



Tutto condivisibile il suo Editoriale. D'accordo  Direttore.
La Repubblica continuerà ad essere un giornale criticamente
impegnato nell'estendere le libertà.
Eppure qualcosa d'antico, sempre lungo la linea immutabile
del conservatorismo, scorre nel suo discorso.
Basti quest'elenco (inevitabile, ma non necessariamente) di persone:
Scalfari (la lezione del fondatore), Mauro (esempio di dedizione),
ora Calabresi (con la sua valigia), e Montaigne, e Lippmann,
e Bornstein...

Perché riteniamo "normale" la solitudine del Direttore
(maschio, quasi sempre, rarissimamente donna, e comunque,
uomo o donna, sempre "gran solitari"!)?

Perché non alleggerire l'eroica solitudine del direttore
con una condirettrice?
Esiste un'ipotesi di innovazione in questo campo?
Ad esempio, una direzione duale: un uomo e una donna.

Forse il monocratismo maschilista è anche una lontana concausa
della "grande banalizzazione" dell'oggi.

O no?

Buon lavoro!

Severo Laleo

Auschwitz, disvelamento e coprifuoco




Oggi, 27 Gennaio, Giorno della Memoria, o anche del Dolore Universale, 
coincidente e con la Liberazione da parte dell'Armata Rossa del Campo 
di Concentramento di Auschwitz, e, per un bizzarro gioco della Storia, 
coincidente anche, nella memoria della Chiesa Cattolica, con la traslazione 
dei resti mortali a Costantinopoli, “tra una folla osannante”, del più accanito 
predicatore cattolico antisemita, San Giovanni Crisostomo,
quasi a ricordare un’origine lontana e comune di un colpevole razzismo, 
appunto, oggi, 27 Gennaio, l’Umanità  conferma, attraverso tante 
e tante manifestazioni,  la sua determinazione,
almeno si spera, nel ribadire la necessità di un’opera
di disvelamento totale e continuo di fronte a ogni tipo di Violenza, 
nella convinzione di evitare, per il futuro, al più gran numero
di persone, l’errore di nascondere e nascondersi per diventare,
in complice silenzio,  “volenterosi carnefici” di Qualcuno.
Ed è giusto ricordare oggi la figura del Pastore Walter Höchstädter,
perché rifiutò di nascondersi e scelse la parola per denunciare
la Grande Violenza.
La Liberazione di Auschwitz disvela al mondo l’orribile esito
finale di ogni pratica di Potere basata sul non riconoscimento
della pari dignità di ogni persona umana, senza eccezione.
In ogni dove è minacciata la dignità della singola persona,
là il germe della violenza prospera e può esplodere.
E spesso a soffrire di più, in ogni lato del Mondo, è la dignità
di donna. Ogni impegno per la pari dignità delle persone
è sempre un impegno contro ogni forma di violenza.

In Europa, purtroppo, preoccupati noi, non senza qualche ragione, 
di difendere la nostra quieta (non sempre) condizione di vita, 
ogni giorno rischiamo, misconoscendo, con contraddittorie misure 
amministrative e legislative, il nostro livello di civiltà giuridica, 
raggiunto a caro prezzo attraverso la tragicità dell’orrore, di scivolare, 
per paura e pigrizia, di nuovo nel nascondimento.
E ognuno è invitato a chiudere la porta, di nuovo vittima
di un infernale coprifuoco.

O no?

Severo Laleo 

domenica 10 gennaio 2016

La violenza vigliacca del Maschio, a prescindere




La notte del passaggio tra il 2015 e il 2016,  nella Piazza della Stazione,
nella città di Mondo, un centinaio di Maschi, ubriachi e bellicosi,
complice la "Festa", spintona, assale, deruba, scaraventa a terra
un altro centinaio di Maschietti trovati a gironzolare da soli nella Piazza.
Per divertimento, per uscir fuor di noia.
Nasce un parapiglia. Maschi e Maschietti si colpiscono a vicenda.
Volano schiaffi e mazzate. Qualcuno prende anche pietre e panchine.
La Polizia intuisce tutto e interviene.
Carica dappertutto e disperde i lottatori. Senza usare i guanti.
In un'ora tutto torna normale: la piazza di nuovo è di tutti.
Tra Maschi e Maschietti la rissa è inevitabile.
La cultura delle mani è comune. La sopraffazione è un terreno di incontro.
Le Forze dell'Ordine sono pronte a vigilare.

Ma la cronaca di Colonia, una città Mondo con tante sue "anime",
racconta altro. Racconta una violenza vigliacca.
La religione non c'entra, se Religione è, non c'entra l'emigrazione, 
se non indirettamente, non c'entrano la miseria e il disagio, 
pur soffocanti, non c'entra il sesso, perché non è in Piazza: 
c'entra solo ed esclusivamente l'abitudine 
del Maschio Primitivo alla violenza vigliacca.
Sì, vigliacca, perché è esercitata contro chi non ha la cultura
o la forza di una reazione altrettanto violenta:
ieri le donne, altre volte i disabili o i barboni.

Quei Maschi sono sempre gli stessi, in tutto il mondo,
con ogni colore di pelle;  è inutile cercar differenze.
In comune hanno una visione dell'Io Maschio fuori di Civiltà.
Questa violenza vigliacca si sradica solo con l'educazione.
Senza, si sposta semplicemente in altre Piazze.
Eppure, per sradicare definitivamente questa violenza vigliacca,
è necessario trasformare le strutture del Potere nel Mondo,
tutte ancora dominate dal Monocratismo Maschilista.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 6 gennaio 2016

Il trionfo ignaro del Maschilismo: la Ferrari non c'entra



Chi ha visto la cerimonia, un po' infantile, con giocattolo finale,
dell'approdo della Ferrari in Borsa,
non può non aver notato, nella sala del Palazzo Mezzanotte,
la folta tribù, esclusiva , di Maschi Plaudenti.
Sorridenti, entusiasti, sprizzanti futuro.
La presenza di qualche donna è solo di "servizio".
Per forza!

E' un'immagine plastica del mito della Competizione,
della Corsa con Gara continua (senza senso),
del mito della Velocità, del mito della Vittoria,
del mito del Lusso, del mito della Ricchezza e dell'Esclusività,
un'immagine di un mondo ormai artificiale,
senza legami con la realtà,
riservato a Maschietti dediti al Divertimento. Perenne.

Ed è un'immagine vera del Maschilismo Industriale,
Perverso, perché ritiene di rappresentare il Massimo.
Ora anche con il sostegno nazionalfascinoso del Governo:
L’Italia c’è! Se ci mettiamo in pista siamo i più bravi del mondo
Appunto!
Un Maschilismo convinto di essere Universale,
un Sogno di tutti, senza esclusioni. Eppure non è così:
il processo di civilizzazione lascerà tra le macerie
gli Autodromi del Mondo!

Forse non esiste ancora la coscienza critica per rompere
il Giocattolo. Perché di Trastullo si tratta. Per i Potenti.
E per i Plaudenti.
O no?

Severo Laleo

sabato 26 dicembre 2015

Barba, Babbo Natale, spettacolo e rivoluzione



Per ribellione e protesta, nel ’68, una generazione di giovani
da imberbe, per un insieme di situazioni, alte e non,
impara a credere nella forza rivoluzionaria della barba,
in ogni sua foggia. Soprattutto se incolta.
E rinuncia a Babbo Natale e ai suoi doni.
E spesso, ancora oggi, la barba rivoluzionaria d’allora
imbianca visi alteri di umiltà e liberi, anche se a volta stanchi.
Per disillusione.

Ma il giovane irriverente di oggi, pronto a battere le mani,
abituato da piccolo ai rumori dell’arte di spettacolo,
ti accusa di conservatorismo, di incapacità di seguire il (suo) cambiamento, 
di essere vecchio, un arnese inutile.
E barboso. E torna a giocare con Babbo Natale
e il suo sacco di regali.

E’ da perdonare. Non conosce la storia e non può immaginare 
quanto sia nobile, benché faticoso, “conservare”,
con la barba, le idee rivoluzionarie di sempre:
tutte le persone sono eguali e hanno pari diritti;
ogni persona ha diritto a una vita degna di essere vissuta,
per luogo e condizioni di abitazione, per strutture di cura
della salute, per occasioni di istruzione/educazione,
per opportunità  di partecipare al tavolo comune del lavoro,
per  possibilità  di gestire un reddito,
per libertà di essere sé stessa.

E non sa, a volte per seguire ambizione, a volte per seguire leaders,
a volte per imitare Babbo Natale, che se il cambiamento non tocca
le forme e le strutture del Potere, il Potere, a sua volta,
sempre uguale a sé stesso, riesce ad avvolgere tutti
nella sua opacità, persino la generazione  del cambiamento.

Forse ancora oggi è bene non inseguire Babbo Natale
e i suoi casuali omaggi e conservare la barba,
specie se è sede di allergie per il Potere fine a sé stesso
e memoria di rivoluzione.

O no?

Severo Laleo

lunedì 14 dicembre 2015

Consulta (e non solo): la cultura nobile del sorteggio



Questo il titolo del Corriere.it di oggi 14 dicembre:
Consulta, 30esima fumata nera. Boldrini: «L’inconcludenza
logora la dignità del Parlamento». L’inconcludenza è vera,
la dignità è da tempo logorata, anzi è già a stracci.
E senza alcun dubbio.
Se per trenta volte il Parlamento si riunisce in seduta comune
e non riesce a eleggere i giudici necessari per il plenum
della Corte Costituzionale, è da mandare a casa.
Sì, per grave danno costituzionale, si potrebbe dire, 
al corretto funzionamento della democrazia.
Scrive la sua nausea Milella nel suo Blog, in Repubblica.it,
quasi disgustata per la generale indifferenza e, opportunamente, 
ricorda i giorni, per ogni giudice, di assenza forzata dalla Consulta:
un giudice ormai manca da 530 giorni (sembra incredibile),
un altro da 314, il terzo da 156.
Una prova di moderno “menefreghismo” istituzionale, da noi endemico, “irrottamabile”, anche in questi tempi dominati
da una nuova generazione di “governo” (nel senso più ampio del termine) campione di velocità, decisionismo, trasparenza, novità
e cambiamento.
In verità è facile predicare il cambiamento, ma se l'origine 
del cambiamento continua a persistere nell'ambizione 
del Potere e non in un Progetto culturale comune e condiviso, 
tutto è ammuina. Con nuova, sì, delusione.
E’ una storia tipicamente italiana, perché solo da noi
la serietà istituzionale troppo spesso cede dinanzi alla tenace arroganza della politica. Per di più senza sanzioni.
Una storia tipicamente italiana, perché sempre più spesso
i rappresentanti dei partiti nel Parlamento non rispondono
più ai doveri istituzionali con personale responsabilità,
ma solo alle decisioni dei “propri” Capi  con libera servitù.
Anche così la Politica, con i suoi riti e nelle sue sedi, continua
a bloccare il processo di civilizzazione di una Società.

Chissà se la cultura di un Paese cambia anche con il cambiare
delle modalità di scelta delle persone in ogni sede decisionale.
Purtroppo, in questo campo, pare si legiferi ancora seguendo,
nella sostanza e nelle apparenze, l’istinto primitivo e prepotente
del Potere Maschile. La lotta è sempre tra Maschi Alfa.
Nonostante tutte le possibili “attenuazioni”.

Forse la dignità delle Istituzioni e delle persone passa solo
attraverso il libero/liberante strumento del sorteggio
e magari anche attraverso la parità assoluta nella Corte
di uomini e donne.
O no?
Severo Laleo


sabato 28 novembre 2015

Quattro amici al bar … a Cinque Stelle




Quando si va a cercare lavoro e fortuna fuori del paese,
la vita cambia, e apre nuovi orizzonti, anche per i più timidi
e tradizionalisti, ma la memoria degli odori, dei giochi, dell’amicizia, 
dall'infanzia alla gioventù, sino ai primi atti
della maturità, non ti abbandona mai, insieme a qualche rito,
anche a tavola, con il pane e il pomodoro (e l’olio delle tue olive).
E sembri così tornare a essere il tuo paese.
Diventano presenti persino i ricordi dei giovanili ardori politici,
dei mega scontri ideologici, a volte fino ai morsi di una rottura 
dell’amicizia, sia pure soltanto per il tempo dell’agitato confronto,
specie durante i turni elettorali.

Ora al bar del Paese, dopo tanti anni di lontananza,
con qualche o tanti capelli bianchi, in quattro,
sereni si sorseggia senza più gli ardori di una volta,
tuffati in una catena chiassosa, continua di ricordi,
senza ordine intrecciati e ricchi di figure.
E’ il segno universale dell’amicizia, godibilissimo,
anche se ognuno ha dei ricordi la sua personale curvatura.
Per fortuna.

Ma senza volere, in sordina, per un inciampo del discorso,
intorno al lavorar dei figli, torna la politica. E, chissà, 
nellìimmaginare gli antichi scontri, ognuno, 
lieto della gioia dei ricordi, si defila vago nel parlare.
Per poco, in verità.
Così Peppe, il compagno, serio una vita, inizia smorzando
ogni entusiasmo per il suo “naturale” Pd, ormai tutto bonus,
Verdini e De Luca;
mentre Raffaele, il bianco fiore immarcescibile, interclassista nato,
con un’anima verde, nemmeno prova a difendere
il suo “naturale” Governo, anzi;
e Matteo, una volta nero di Fini, sempre furioso contro tutti,
onesto per istinto, coglie a volo questo dono amicale di spazio facile
per intervenire distruggendo il suo “non naturale” Governo;
pure Michele, alimentato dalla nonna ribelle a pane e socialismo,
mormorando, ma scandendo le parole, confessa,
almeno sul piano politico, tutta la sua “naturale” delusione
di una vita, e butta là una minaccia:
Mi toccherà votare M5S!”.
 “Embè! -interviene Matteo- Io l’ho già votato! Basta con questi ladri!”.
 “Sì, bisogna voltare pagina -rincara Michele- Io sono iscritto al M5S!”.
E Peppe, sorpreso, per non sbagliar parola, con il capo scuote
il suo annuire, e in cuor suo spera possa il M5S riuscire ad arginare,
con nuove risorse di democrazia e nuovi strumenti di libertà,
la diffusione, nel grande campo della lotta politica
e del governar dell’oggi, di quei germi, vivi e velenosi,
di una pratica dell’agire politico chiaramente violenta, ma subdola,
per comunicazione e trasformismi in sotterfugi, e oppressiva,
per limitazione dei diritti della persona.
Forse la speranza tacita di Peppe diventerà la speranza a voce piena
dei molti.
O no?


Severo Laleo

sabato 14 novembre 2015

Women Are the Best Weapon in the War Against Terrorism




A Parigi, nel centro della civiltà occidentale, e nei luoghi sociali
del comune  gioire, è esplosa terribile la violenza estremista.
Assurda e funesta per noi, liberatrice e vìndice per altri.
Al solito, contro persone inermi e senza difesa.
Violenza atroce, alimentata da odio e Volontà di Eliminazione
del nemico. Violenza suicida/omicida. Violenza devota.
In Nome di Simboli. E di Dominio. Sempre di Capi.

Ognuno, di tanta violenza, potrà rintracciare le cause.
Nella Storia, nella Religione, nella Geopolitica.
La Storia racconta di terrore in ogni epoca e luogo.
E parlano tutte le lingue del mondo gli Ordinatori di Eliminazione.
Le lotte di Religione grondano il sangue della Supremazia.
Ancora strategie di morte detta la Geopolitica per il controllo
di luoghi, appetibili incroci di interessi d’ogni senso.
Si scriveranno pagine infinite per scoprire le cause
e gli intrecci di cause, ma un filo rosso segna tutte le Violenze:
l’assenza del passaggio dalla Natura del Maschio Alfa
alla Cultura della Persona. E del Limite.
  
La modalità di risolvere i conflitti è sempre identica a sé stessa,
dall’Età della Pietra all’iPhone. Ed è propria dell’essere Maschio
prepotente, predialogica e prepolitica: l’assalto, il duello,
la tenzone, la battaglia, la guerra, la tortura, l’uccisione,
l’eliminazione dell’altro.
Muri, Bombe, Embarghi potranno riuscire anche a frenare
e bloccare Violenza e Terrorismo, ma senza il superamento
della modalità del Maschio di risolvere i conflitti 
il processo di civilizzazione non andrà avanti.

The international community must take up the challenge
to combine militarized action with governance, human rights,
and development — including women’s empowerment and gender equality. 
Drones, airstrikes, and boots on the ground can halt
the advance of extremist groups, but these tools cannot defeat radical ideologies 
nor build resilient families and communities. Empowered women are the best 
drivers of growth and the best hope for  reconciliation. 
They are the best buffer against
the radicalization of youth and the repetition of cycles of violence. 
Women and girls are the first targets of attack — the promotion
of their rights must be the first priority in response”.

Forse le autrici di questo brano, Phumzile Mlambo-Ngcuka
e Radhika Coomaraswamy, esprimono un’idea nuova 
per andare oltre il solito destino di guerra. 
E possono solo compatire il grido di continuismo antico del povero Hollande:
Siamo stati aggrediti, ora saremo spietati”.

O no?
Severo Laleo