martedì 30 dicembre 2014

Il nuovo cuore dell’Europa e le nuove sfide



I giornali riportano oggi –sul finire dell’anno- brani di discorsi
di scambio di saluti tra il Premier d’Italia e il Premier d’Albania.
Entrambi i discorsi meritano spezzoni di citazione.
A futura memoria.

Il primo, l’italiano, dichiara, anche a nome del suo collega: 
"Vogliamo cambiare i nostri paesi e far sì che siano sempre più capaci
di costruire l'ideale europeo … l'Albania è già in Europa: si tratta
di allargare le porte della grande casa europea, perché è giusto e utile.
Siamo molto felici per lo status di candidato dell'Albania, ora bisogna 
correre e far sì che i negoziati siano veloci. Abbiamo deciso di concludere
a Tirana il semestre europeo perché c'è un pezzo di futuro dell'Europa
che verrà e anche di Europa che c'è stata ….Quando qualcuno mette
in discussione l'ingresso dell'Albania e di altri Paesi dei Balcani nell'Ue 
sta sbagliando tutto perché abbiamo bisogno che quest'area non sia solo 
parte, ma sia il cuore dell'Ue, di fronte alle sfide che ci attendono … 
un’Europa come casa della speranza e non solo di vincoli, un luogo
in cui ritrovare il sogno europeo. Che l’Europa sia di casa tra i cittadini, 
non più solo luogo della burocrazia. C’è tanta voglia di un futuro insieme”. 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, rapido. E tocca il cuore.

Il secondo, l’albanese, amichevole e concreto, quasi a riempire
di contenuti l’”ideale europeo”, pronto a illustrare “un pezzo di futuro 
dell'Europa che verrà”, anzi il “suo cuore”, deciso a implementare 
il “sogno europeo” e la “voglia di futuro”, tra il sornione e il dritto, 
chiarisce e, a suo agio con l'ironia, puntualizza: "Non vorrei mettere in difficoltà 
Matteo dicendo agli imprenditori venite in Albania perché non ci sono 
i sindacati o venite in Albania perché le tasse sono al 15 per cento
Non voglio mettere in difficoltà il mio amico, dicendo di venire qui 
perché i sindacati ci sono in Italia ma non in Albania". 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, con ritmo. E tocca i soldi.
Il primo è un socialista italiano. Gioioso.
Il secondo è un socialista albanese. Allegro.
Insieme sono socialisti in Europa. E “scherzano” insieme. Tra "amici".

Forse un cambiamento serio verrà nell’Occidente, in Europa,
di nuovo dalla Grecia. Il 25 Gennaio.

O no?

Severo Laleo

domenica 28 dicembre 2014

Sinistra Ecologia e Libertà inventa Human Factor: ma perché?



Ma perché Human Factor? Perché SEL, partito di sinistra,
dove sinistra dovrebbe stare, insieme, sia per solidarietà/empatia
nei confronti dei più deboli, sia per realizzazione di programmi
di governo utili ad alleviare i problemi dei più deboli, perché, dunque, 
un partito di sinistra, una sinistra del genere, SEL
deve scrivere un suo nuovo capitolo di futura unità politica
sotto un titolo così privo di chiarezza nella descrizione
della sofferenza degli ultimi?
Human Factor! Qual è la ragione di un parlare così astratto,
così lontano dai bisogni delle persone, così dentro la logica
del “leopoldismo”, almeno per la sensibilità non di pochi?

Al contrario, perché non proviamo noi a tradurre la nostra attenzione, 
pensata e praticata per la “persona” nella sua singolarità 
e nelle sue formazioni sociali, in un titolo più comprensibile
e più “sentito” per tutti? Perché non scriviamo noi una nuova 
pagina di “rivoluzione copernicana”, contro quella di questo Governo 
che scaccia verso l’esterno i “diritti di pari dignità” e pone al “centro” 
la subdola “violenza” del successo del libero imprendere* 
(soprattutto da noi in Italia)? Magari obbligando
tutti i nostri interlocutori, a ogni livello, a porre al “centro
di ogni progetto, di ogni riforma, di ogni interesse, di ogni provvedimento, 
non le “regole nuove -anzi antiche- dell’economia”, ma la “persona” 
nella sua interezza con tutte le sue esigenze
e le sue prerogative, innanzitutto la sua libertà, la sua dignità,
la sua uguaglianza, almeno nei fatti essenziali,  con ogni altra persona, 
in una parola il suo diritto al benessere, cioè a “star bene” con sé e con gli altri, 
attraverso il possesso minimo di “risorse materiali personali” 
e attraverso la possibilità, garantita dalla società, di esercitare 
tutti i suoi diritti alla pari con ogni altra persona?
Eppure basterebbe aprire un fronte politico a tempo indeterminato 
per giungere a fissare un limite alla ricchezza e un limite
alla povertà anche attraverso un sistema fiscale equo,
al servizio del benessere delle persone.
Trasformiamo dunque questo Human Factor in un più “sentito”:
Una politica per le persone”, o parole di più intensa
e semplice sincerità politica.

O no?
Severo Laleo

 *Denuncia Todorov: “La nostra democrazia liberale ha lasciato che l’economia
non dipenda da alcun potere, che sia diretta solo dalle leggi del mercato, senza alcuna 
restrizione delle azioni degli individui e per questo la comunità soffre. L’economia
è diventata indipendente e ribelle a qualsiasi potere politico, e la libertà che acquisiscono
i più potenti è diventata la mancanza di libertà dei meno potenti. Il bene comune 
non è più difeso né tutelato, né se ne pretende il livello minimo indispensabile 
per la comunità. E la volpe libera nel pollaio priva della libertà le galline”.

lunedì 22 dicembre 2014

Una sovranità conviviale per un’opposizione intransigente



Grazie all’originale e sempre interessante rassegna stampa
Cogito, ergo sum - idee e riflessioni contemporaneea cura
della Fondazione Roberto Franceschi, ogni domenica
si ha la possibilità di leggere su svariati campi
del nostro vivere quotidiano più articoli utili a tener vivo
il pensiero e libera l’azione.
Questa volta attira l’attenzione un intervento in campo politico
di Luciano GallinoUno Tsipras per l’Italia” uscito il 16 scorso
su “la Repubblica”.
Scrive Gallino: “Tra coloro che hanno partecipato alle dimostrazioni
per lo sciopero di venerdì 12 dicembre si contano forse numerosi elettori
potenziali per lo sviluppo di una nuova ampia formazione politica,
in grado di opporsi alle catastrofiche politiche di austerità imposte
da Bruxelles e supinamente applicate dal nostro governo. Non si tratta
di fare un esercizio astratto sul futuro del nostro sistema politico.
Se una simile forza di opposizione non si sviluppa, quello che ci attende
è un ulteriore degrado dell’economia e del tessuto sociale, seguito da rivolte 
popolari dagli esiti imprevedibili. Il governo è seduto su un vulcano,
e intanto gioca a far “riforme” che peggiorano la situazione”.
E, per la realizzazione di un fronte di opposizione severa
e convincente all’ottusa austerità dell’Europa, invita
a osservare/seguire i movimenti di opposizione politica
nati, e cresciuti rapidamente, sia pure con modalità differenti,
in Grecia e in Spagna, Syriza e Podemos, i cui programmi
appaiono essere più solidamente social-democratici, concreti 
e adeguati alla situazione attuale della Ue e alle sue cause di quanto 
qualsiasi altro partito europeo abbia finora saputo esprimere”. 
E si chiede: “Al lume delle esperienze di Syriza e Podemos, come
si presenta la situazione italiana? Sulle prime si potrebbe pensare
che quanto rimane di Sel, di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, 
insieme con qualche transfuga del Pd, potrebbe dar origine a una coalizione 
simile a quella di Syriza. Purtroppo la storia della nostra sinistra è costellata
da una tal dose di litigiosità, e da un inesausto desiderio di procedere 
comunque a una scissione anche quando si è rimasti in quattro,
da non fare bene sperare sul vigore e la durata della nuova formazione.
Si può solo sperare che la drammaticità della situazione spinga in futuro
a comportamenti meno miopi, ma per farlo bisogna davvero credere 
nell’impossibile. E, alquanto scettico, quasi riducendo il discorso
a una questione di leader, conclude: In ogni caso
non si vede, al momento, da dove potrebbe arrivare la figura di un leader 
simile a Tsipras o a Turrión, colto, agguerrito sui temi europei, capace
di farsi capire e convincere, esponendo al pubblico in modo accessibile
dei temi complessi”.

Indubbiamente il “leader” (sia singolo/monocratico sia duale,
in coppia, un uomo e una donna -è solo un auspicio per il futuro!-)
ha sempre una sua funzione da svolgere, anche di facilitatore
di comprensione di “temi complessi”, ma per un’opposizione intransigente, 
e nuova, e di sinistra, e socialdemocratica, non può essere 
più l’abile “comunicatore/decisore” da spendere nel mercato 
del voto per conquistare/rastrellare consensi grazie soprattutto
ai “suoi”, del leader,  modi/carattere/linguaggio/cultura.
Un leader carismatico non è bastante, per opporsi, a dovere,
al fine di un cambiamento di regole e azioni in Europa,
senza il coinvolgimento diretto e partecipe e sofferente
di una comunità viva di “persone alla pari” in empatia.
Al contrario, il leader carismatico è solo l’ultima opportunità
per il neoriformismo di restaurazione di imporre dall’alto,
a scapito del dibattito democratico diffuso, le sue scelte
contro i diritti delle persone.
Se una speranza s’apre per un’opposizione forte, capace
di indicare le vie per il miglioramento delle condizioni
economiche di tutti, definendo i limiti per una sostenibile diseguaglianza
non è per l’apparizione di un leader,
ma è grazie alla diffusione, nella Grecia della crisi
e della miseria, di nuove comunità di solidarietà;
ed è grazie alla diffusione, nella Spagna degli indignados,
dei circoli di Podemos dove si sperimenta dal vivo
la pratica del protagonismo popolare, in contrasto netto
con altri luoghi della politica italiana dove prevale
il continuo scontro tra rari elettori al seguito di un “capo”.

Gli indignados e i syriziani non sono dei “seguaci
di un leader, sono persone autoliberatesi, per la durezza della crisi, 
dai giochi della “casta politica” e hanno voglia e forza, 
con una partecipazione in piena trasparenza, di trasformare la semplice 
sovranità elettorale di un voto rituale per un leader,
(un voto spesso non “uguale”: la corsa infatti verso sistemi elettorali 
extramaggioritari per la riduzione degli spazi della democrazia
è il progetto più pericoloso del neoriformismo di restaurazione),
in una più radicata, paritaria, senza condizionamenti economici, 
sovranità conviviale. Che è la vera modalità della democrazia.
Ora anche in Italia, leader o non leader, per fortuna sono tantissime 
le persone autoliberatesi,  siatra coloro che hanno partecipato 
alle dimostrazioni per lo sciopero di venerdì 12 dicembre” sia tra coloro
che non hanno partecipato al voto in Emilia e Calabria, e hanno tanta 
voglia di fare democrazia, cioè di esercitare, insieme,
“ la capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti”.

O no?

Severo Laleo

venerdì 12 dicembre 2014

Il buio etico, l’antipolitica pedagogica e il partito nuovo





Una cooperativa, benemerita per il reinserimento dei carcerati,
figlia di un’idea di civiltà, diventa, al contrario -così si scrive-, luogo di incroci 
d’affari mafiosi, senza limiti. Con danno drammatico per i più deboli.
Una classe dirigente, di destra, centro e sinistra, selezionata
-si fa per dire!- per la buona amministrazione, al contrario partecipa -pare-, 
senza senso del limite e del pudore, a suo modo, direttamente e indirettamente, 
al malaffare di sistema mafioso. Con danno drammatico per la democrazia.
Una macchina burocratica, addetta, in più settori dell’amministrazione, 
anche tramite persone insospettabili, al controllo di legalità, 
al contrario facilita, al di là del colore del sindaco,
l’organizzazione mafiaffaristica per godere -a sentire le intercettazioni- 
di stipendi aggiuntivi. Senza limiti e senza l’onor di carica.
Con danno drammatico per la credibilità del Pubblico.
Un partito di governo, a livello locale e non, guidato
da un “nuovo” segretario, impegnato a cambiare
i metodi di gestione di sempre, al contrario continua,
senza limiti -si può dire-, a praticare o a non capire/denunciare
il malaffare e a chiedere pulizia sempre con ritardo
e solo a seguito di inchiesta della magistratura.
Con danno drammatico per la partecipazione alla vita di partito.
La confusione è grande. Ma diventa incomprensibile
quando il Premier, seminatore nuovo di ottimismo non ragionato, 
secondo un’antica e colpevole retorica, per una volta s’intristisce, 
s’adira e annuncia nuove pene e nuove misure di repressione
per i corrotti -si attendono, si spera, rapidi decreti d'urgenza-, 
mentre proprio quei corrotti, al contrario, cenano,
senza timori, al suo desco di partito con mille euro a sedia. 
Con drammatico danno per l’idea di una democrazia alla portata 
di un onesto lavoratore. 
Un danno comunque già perpetrato a suo tempo
contro l’onestà comune, quando non ebbe alcuna difficoltà
a incontrare, per delineare i destini istituzionali del Paese
-almeno questa è versione a nostro uso-, un condannato
per evasione fiscale, indegno di sedere in Senato.
Un drammatico esempio di schiaffo alla sensibilità
delle persone oneste. E un incoraggiamento per molti
a ritenere l’evasione fiscale un reato “tollerabile”.
E più incomprensibile è la confusione se il Presidente
della Repubblica, persona pur degnissima d’ogni rispetto, 
nell’attaccare l’antipolitica lascia, al contrario, nell’ombra 
l’arroganza spesso mafiosa della politica.
Con danno drammatico per le persone indifese,
alle quali altro non è concesso se non rifugiarsi, per disprezzo
del generale decadimento morale, nell’antipolitica.

Ora propria questa antipolitica non è un’antipolitica eversiva
per precisa scelta di rottura e di scardinamento istituzionale, 
ma solo un’antipolitica pedagogica per disperazione,
specie se nell’Emilia Romagna, regione di grande tradizione
democratica, la maggioranza grande della popolazione
si rifiuta di partecipare al voto. “Antipolitica è patologia eversiva”, 
quasi grida il nostro Presidente. E’ vero, in tempi normali, ma diventa oggi, 
in Italia, constatazione fuori contesto.
Anzi è una diagnosi senza anamnesi. Eppure l’anamnesi è nota
al Presidente Napolitano, perché già uomo del Pci.
L’antipolitica, praticata spesso dall’opposizione e, secondo
i comodi, anche da forze di governo,  è sì patologia eversiva
ma è l’esito di un virus eversivo, alimentato da quella diffusa contiguità 
tra politica e malaffare, da quell'uso personale/padronale del voto e dei partiti,
e da quella testarda non-soluzione della questione morale 
proprio nei termini definiti tanti anni fa,
ancora da una persona del Pci, mai dimenticata, E. Berlinguer.

Per uscirne non basta l’inasprimento delle regole processuali
e penali, ma serve il rispetto delle regole democratiche
dentro l’organizzazione politica del partito “nuovo”,
trasformando la subalterna sovranità elettorale,  
ricca solo di un voto a seguito di un leader padrone,
nella paritaria sovranità conviviale, libera di decidere
a seguito di dibattito democratico tra persone alla pari.
Un partito nuovo e una nuova società a sovranità conviviale,
oltre la vuota sovranità elettorale, non è più compatibile
con il mito del leader pigliatutto, e non è più compatibile
con una legge elettorale con premio di maggioranza
e con eletti nominati.
La Politica non è gioco, non è una partita di calcio,
non è un patto di potere, non è affari tra potenti,
non è una compravendita, non è una lotta di ambizioni
senza limiti. La Politica è l’etica agita nella vita pubblica (Crick),
e ha urgente bisogno di un “luogo reale”, fisico, dove regole
nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, un “luogo reale” dove la dirigenza sia scelta,
almeno per il 50%, per “sorteggio”, dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, 
non per graziosa concessione, ma per norma deliberata,
dove siano definiti tempi e rotazione degli incarichi,
dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio,
ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo maschilista di sempre al bicratismo di genere del futuro, 
a una forma duale di direzione, dove non sia l’”IO” a dominare, 
ma il “NOI” a cooperare), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica,
della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti.
Se i partiti e i movimenti sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del conoscersi/comprendersi, guardandosi negli occhi,
non potranno mai essere in grado di estendere la democrazia
e di costruire una “sovranità conviviale”.
In trasparenza piena e assoluta.
O no?

Severo Laleo

domenica 7 dicembre 2014

“Un bacio, grande capo” e la sottile lezione dai “senegalesi”




Credo non sbagli la Campana, anzi, ha tutte le ragioni del mondo
quando sostiene che “capo”  è epiteto diffuso e bonario.
Quasi affettuoso. E senza malizia. E’ una questione di costume.
Sì, un costume italiano. E solo in Italia è davvero molto diffuso.
Non c’è niente di male, appunto.
Io dico sempre così –si giustifica la Campana-  che c’entra?”
Gli italiani, si sa, sono un popolo di tanti piccoli “capi”,
spesso al servizio di un altro “grande capo”, sempre maschio,
qualunque colore vesta, qualunque ruolo svolga.
E’ una vecchia colpa, tragica, incorreggibile
solo attraverso la politica, perché ogni “capo”, anche se nuovo,
continua a vestire i panni del “capo” salvatore.

E il fatto è ben noto anche ai nostri “fratelli senegalesi”.
Invero, gli ambulanti di origine africana e non solo,
quando in strada si rivolgono al maschio italiano
per aprire un contatto di “vendita” di rapida mercanzia,
usano, tra il simpatico e l’adulatorio canzonante,
il termine "capo":  "Capo, un attimo solo, capo..."
"Grazie, grande capo!" "Ciao, capo!"
Chissà forse per ottenere più facilmente udienza, attenzione,
e buona disposizione d'animo. E forse perché tutti i “senegalesi”,
qualunque sia la terra d’origine,
hanno ben capito il vizio d’animo di noi italiani,
e hanno intuito la nostra aspirazione a diventare/essere “capi
così, a furia di dire “capo, capo”, solleticano il nostro infantilismo.
E giocano con noi, sorridenti, ma senza farsi “schiavi”.
Mai. E per fortuna di tutti.

Ma il popolo italiano è per la gran parte ancora un popolo di “capi”,
è ancora un popolo non abituato a confrontarsi alla pari con gli altri,
nel rispetto di regole civili, trasparenti e uguali per tutti,
e per questo, quando non ha/afferra il comando del capo,
spesso arretra per viltà a schiavo.
E di fronte a un altro “capo” ha sempre paura di perdere,
e per non perdere, in silenzio e complice,
 acquatta a rate la sua intelligenza al potere del “grande capo”.
E chiede/accoglie benevolmente i suoi “favori”, chiudendo un occhio,
se non entrambi. “Familismo amorale” e “danarismo avvilente”.

E’ anche un comportamento figlio del metodo del “ghe pensi mi”,
in Italia sempre all’opera, arrogante, veloce, senza lacci e laccioli.
In una parola italiana, un comportamento mafioso.

Forse quando in Italia crescerà la cultura liberale, a destra e a sinistra, 
e risolta sarà per regole e abiti la questione morale,
nessun “senegalese” dirà più per strada “grande capo”.
E nessuna “campana” suonerà più baci per il suo “capo”.
E sarà il giorno della democrazia tra persone libere, alla pari,
senza gore di mafia.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 3 dicembre 2014

Gruber, Cassese e il governo duale



L’altra sera a Otto e Mezzo l’ospite d’onore, il giurista irpino Sabino Cassese
giudice emerito della Corte costituzionale, chiacchierato quale possibile 
Presidente della Repubblica, nelle risposte alle domande, anche puntuali, 
della Gruber ha voluto tenere un atteggiamento benevolo, quasi ecumenico,
nei confronti del Governo e, in qualche passaggio, è sembrato persino 
carezzevole nei confronti del Presidente Renzi.
Per fortuna una corretta Lina Palmerini, osservatrice attenta
del Sole 24, con severo garbo, è riuscita spesso a riportare
il discorso politico dal gioco delle relazioni alle pieghe incrostate
di una difficile realtà.

E a proposito della capacità di innovare del Presidente Renzi,
il giurista Cassese ha voluto ricordare la novità della nomina
nel Governo di un numero di ministre pari al numero dei ministri.
Per l’Italia, certo, una novità.
E la scelta era rimarcata dal fine giurista Cassese con un sorriso
bonario, quasi a conferma del segno inconfutabile del grande cambiamento; 
e l’ottima Gruber, colpita nel suo campo, ha subito espresso la sua condivisione.

Eppure in tanto entusiasmo qualcosa non funziona.
Sia il fine giurista sia l’ottima Gruber, espresso concorde l’apprezzamento, 
di malcelato elogio l’uno, di partecipazione
di genere l’altro, restano prigionieri di un’antica e “naturale
visione del monocratismo, esito storico del maschilismo,
in quanto legano la formazione di un governo con pari numero
di ministre e ministri non a una necessità/obbligo di civiltà politica
ma alla solitaria scelta/decisione/concessione
del potere monocratico –in Italia sempre e solo maschile-
del Presidente del Consiglio, e soddisfatti non riescono
a guardare avanti. Oltre.
La formazione di un governo di uomini e donne in pari numero 
non può essere lasciata in un paese moderno, civile, avanzato,
a un qualsiasi presidente di turno, ma deve essere stabilito
per legge, senza possibilità di scelte discrezionali.
Di più, guardando avanti, se la stessa Presidenza del Consiglio 
fosse organo non più monocratico, ma duale, bicratico,
di coppia uomo/donna, i cambiamenti e in termini di educazione
alla parità, con quel che ne consegue, e in termini di un più maturo confronto 
politico (con una mitigazione del narcisismo a volte esasperato dei leader), 
e, infine, in termini di pienezza umana sia nella comprensione dei bisogni 
sia nella realizzazione delle decisioni, sarebbero facilmente intuibili 
e comunque auspicabili. Altrimenti il “vecchio” continua a resistere
anche quando si prendono decisioni nuove.

O no?

Severo Laleo

domenica 30 novembre 2014

Solidarietà, genitorialità e crisi economica



Firenze. Piazzale  Coop. Un giorno di sole di Novembre.
Una sorridente giovane e un giovane scattante,
vispi nella capigliatura brillante,
diversi per colore di pelle, ma entrambi colorati d’azzurro,
grazie a una fasciatutina dell’unhcr,
con rapidi movimenti vigilano all’entrata,
attenti e pronti all’incontro.
Già di lontano squadrano l’avventore,
muovono qualche passo in apparenza distratto,
e improvvisamente eccoli gioiosi davanti a te
a chiederti un contributo di solidarietà per i Rifugiati.
Le risposte sono le più disparate, sempre cortesi.
Grazie, oggi son di fretta.” “Ho già donato.”
Qualche battuta e via.
Eppure la risposta del signore dai capelli grigi
è più articolata. Ed è tanto sincera quanto amara.
Non ho nulla da donare, davvero, e seppure ho qualcosa
la darò a mio figlio, che non ha ancora un lavoro.
Mi dispiace”.
Il giovane scattante di colpo si blocca. Muto.
La sorridente giovane, mentre il signore dai capelli grigi
va via, forte gli lancia un “Grazie lo stesso”. Mesto.
E oggi sui giornali sia la cronaca di una continua guerra
tra i poveri sia un “13,2% Disoccupazione mai così alta”.
Una perversa crisi economica intristisce la solidarietà.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 26 novembre 2014

Una vittoria per la democrazia: sovranità conviviale vs sovranità elettorale

Quando tante persone, anzi tantissime, non sentono più il dovere
di andare a votare, il significato è chiaro: niente/nessuno merita
più la fiducia, perché i partiti, in quanto luoghi di dibattito 
e di formazione, sono morti; niente/nessuno merita di “rappresentare
le persone nelle istituzioni, perché troppo spesso
i candidati, ballerini tra una cordata e l’altra, sono indifendibili
sul piano della competenza morale (sì è una competenza,
la moralità, specie in politica, e non un tratto personale del carattere, 
anzi andrebbe “misurata”, con regole trasparenti e controllabili, 
prima di consentire l'accesso a una carica pubblica, 
quale valutazione di merito); niente/nessuno riesce a mobilitare, 
perché ormai è morto anche l’ascolto dei leader dal carisma, 
italiana maniera, esclusivamente affabulatorio.
Una volta c’era Bossi, il populista tuonante contro i più deboli 
della “catena umana”, ora l’epigono è Salvini, il mitragliante,
ma sempre contro gli “ultimi”; una volta c’era il populista Berlusconi,
il genio della comunicazione, il “liberale” (si fa per dire!), ora 
–saltata la distinzione oppositiva destra/sinistra- l’epigono è Renzi
il socialista del futuro è solo l’inizio”; una volta c’era Grillo
il vaffa lucido delle piazze rivoluzionarie, ora è ancora Grillo
inutile barcamenante, l’epigono stanco di sé stesso. 
E tutti maschi pieni di sé. Grandi di Ego.

Eppure per la democrazia non è un giorno nero. E’ un giorno di giubilo.
Le persone, libere di votare, hanno scelto di non votare, lasciando
a una minoranza la responsabilità del “non cambiamento”, 
qualunque sia il suo nome. E insieme la responsabilità
del perdurare della corruzione, dell’illegalità, dell’evasione fiscale, 
della criminalità. In una parola, la responsabilità del crescente 
divario tra povertà e ricchezza, tra chi ha e chi non ha, tra chi può
e chi non può, tra chi conosce il “capo di turno” e chi non conosce 
nessuno. Niente è cambiato. Identico il verso.
La democrazia delle persone alla pari è ancora un’utopia.
Eppure la giustizia sociale non può tollerare, anzi proprio 
non sopporta, la corruzione e la illegalità diffusa 
con i suoi condoni sempre in agguato.

La sconfitta dei leader, nella forma arcaica di lotta tra “galli”,
o nella forma moderna di “giocatori in campo”, è definitiva.
E’ ora di aprire gli occhi. E per la sinistra non è ora di chiedere
a qualche nuovo leader (Landini?) di “scendere in campo
a “giocare la partita”.
La politica è roba seria, di tutti per tutti. E se in Emilia Romagna
e in Calabria è morta con l’astensione di massa la sovranità elettorale 
è ora ormai, almeno a sinistra, di costruire la sovranità conviviale, 
per “la distribuzione equitativa del lavoro e della ricchezza;
per la democratizzazione di tutte le istanze della vita pubblica;
per la fine della corruzione e dell’impunità che hanno trasformato 
il sogno europeo di uguaglianza, libertà e fraternità nell'incubo 
di una società ingiusta, disuguale, oligarchica e cinica”,
per la democrazia delle persone, perché “la democrazia, 
è la capacità di decidere tra tutti ciò che è di tutti” 
(dal Manifesto di sostegno a Podemos).

Il leaderismo, esito storico del maschilismo e della sua visione
del potere, è da superare definitivamente. Le persone libere
non hanno bisogno di conduttori, di comunicatori, 
anche se continueranno a  chiedere a competenti e disponibili 
di assumere l’incarico di coordinare e “originare” le decisioni. 
Ma la struttura di direzione politica nei partiti 
e nelle istituzioni non può continuare a essere monocratica, 
affidata a una figura solitaria, maschile o femminile, 
un Obama o una Merkelquasi a perpetuare il retaggio 
di un’idea di potere medievale, o di vecchia democrazia, 
ma dovrà essere duale, di coppia, bicratica, di un uomo 
e una donna. Solo i maschilisti inconsapevoli non riescono a leggere
e prevedere e immaginare i tanti vantaggi, innegabili, 
sul piano culturale e sociale, derivanti da una nuova struttura duale
del governo. E solo la pigrizia conservatrice non vuole riconoscere
il passo verso una più matura civilizzazione della società.
Le donne non devono più essere chiamate, dal decisore di turno, 
a fare il numero pari, a dare visibilità di contorno. 
Le donne hanno diritto, per legge, attraverso nuove forme 
di organizzazione del servizio potere, di essere sempre alla pari, 
in ogni sede di decisione, per garantire nuove, inedite, 
possibilità di comprensione dei bisogni delle persone tutte,
e nuove possibilità di realizzazione di ogni azione utile a dare 
esigibilità a quei bisogni. Nuove forme di direzione politica 
e di organizzazione politica potranno generare nuovi modelli 
di stare insieme politicamente nei territori per andare oltre 
una sovranità limitata all'espressione di un voto ogni tanto.
Non basta chiedere/gridare “scioperiamo la democrazia”, 
è necessario trovarsi insieme nei mille luoghi possibili e là costruire 
insieme, tra persone alla pari, il convivio politico
Spetta alla sinistra, superate le insidie frazionanti degli egoismi
di Narciso, retaggio di un antico maschilismo, trovare una unità 
conviviale per il bene comune.

O no?
Severo Laleo




mercoledì 12 novembre 2014

La nonna, i nipoti e la scrivania tarlata



La scrivania ha ormai più due secoli. Appare solida.
Nel dopoguerra ha subìto un importante intervento
di restauro. Quasi una nuova costituzione.
Anche se purtroppo i tarli, nel profondo della struttura,
continuano a divorare il legno massello di sostegno.
E nell’oscurità.

In tanti anni la nonna ha riempito il piano della scrivania
di libri e fascicoli di studio. E di mille sparsi appunti,
per discorsi e riflessioni, e per memoria. Completamente.
Ma lento e continuo, con ripensamenti e andirivieni,
è proceduto il ricambio di libri e fascicoli.
E a peso costante la scrivania ha resistito.
Nonna e scrivania insieme hanno disegnato la sede
degli studi e della meditazione, della ricerca e del dubbio, 
dell’ascolto e del dialogo, della discussione
e della decisione, dell’accordo e del conflitto.
In responsabilità. Senza applausi e spesso in solitudine.
Per il bene di tutti.

Eppure i nipoti di casa non tollerano la vecchia scrivania,
piena e polverosa. E non vogliono sedere a studiare.
Non serve. Una poltrona, una sedia, un tavolo bastano
per un Apple. E per googlare. E basta un tweet per comunicare,
e per dire un sì alle decisioni. Con l’applauso o il fastidio
di tanti. Meditare, dialogare, tallonare il dubbio
è perdere tempo. Esprimere solidarietà non dà profitto,
provare empatia è un lusso. Anzi, in quanto sentimenti residui
di un tempo passato, bloccano l’azione.
Mentre agire è tutto. Avanti. Spavaldi, incuranti.

Intanto per la fretta di tutto movimentare e trasformare,
per l’ansia di cambiare, i fascicoli, cartacei,
tuttora vivi e vegeti, si accumulano, abbondanti e pesanti,
giorno dopo giorno, e, là buttati con rumore, giacciono, 
senza soluzione, senza possibilità di ricambio, 
sulla vecchia scrivania tarlata.
Così il peso incontrollato e in continua rivoluzione dei fascicoli,
tutti aperti e confusi, abbandonati e ripresi,
preme senza sosta e cresce; mentre i tarli, antichi e nascosti, 
con avida violenza, ampliano gallerie e minano la stabilità,
con il rischio sicuro di rovina.

Forse per evitare il crollo è tempo di sentire la nonna.
I nipoti, si sa, non battono il tempo sapiente della cura.
O no?
Severo Laleo









lunedì 10 novembre 2014

Mille Euro e le mense separate



Se dei ricchi –d’accordo sul termine, o no?- pagano Mille Euro
per rendere forte un Partito (o forse solo il suo leader)
non è per un gratuito dono –i doni hanno un’altra portata,
fuori menù- ma è solo perché, al di là di qualsiasi altro
soggettivo interesse, quei ricchi hanno un’idea chiara
del modello di società da sostenere e difendere.
Una società divisa tra chi può e chi non può,
una società fondata sulla divisione/separazione,
quasi una nuova apartheid, da esibire, per dominio politico,
tra ricchi e poveri, tra successo e sfiga, tra leopolda
e cortei di piazza.

La forte determinazione politica, soprattutto dell’attuale 
segretario del Pd, di dividere il campo di battaglia 
tra i veloci seguaci del nuovo e i pigri sostenitori del vecchio
tra quelli che “si son presi il partito e il governo” e i “gufi”,  
è direttamente, anche in ogni suo disegno politico, 
dalla riforma del Senato alla legge elettorale,
dalla ventura riforma del Lavoro alla già sicura confusione
tra merito e clientele, è, ripeto,direttamente funzionale 
a questa nuova separazione, netta, per usare antiche parole 
gramsciane, tra “oppressori e oppressi”.
Ai primi il compito di dirigere la società, di preparare il futuro (sic!) 
e distribuire bonus, ai secondi la possibilità di applaudire
e di votare senza l’uguaglianza costituzionale del valore
del proprio voto. E all’apparire evidente degli scontri,
esito obbligato della determinazione politica di quel segretario, 
senza pudore si attribuisce agli oppressi la volontà
di ogni rottura/divisione. E’ un ritornello antico.

Eppure i seduti alla mensa separata del Pd di Renzi,
se non si ingannano, pagano Mille Euro per dare,
con i soldi, forza a questo Pd che,
in quanto Partito del Socialismo Europeo, dovrà realizzare,
grazie anche a quel sostegno, la giustizia sociale, la giustizia fiscale, 
la lotta a ogni tipo di illegalità e a ogni forma di criminalità,
e soprattutto un welfare avanzato per garantire pari dignità
a ogni persona. A beneficio degli oppressi.

E così ai tavoli della raccolta fondi del Pd i finanziatori 
sono tutti gioiosi, sono tutti o quasi, almeno per il momento, 
socialisti, sono tutti democratici, sono tutti portatori 
di una moderna visione della società, giusta e libera, 
ma a una condizione, antica e “incivile”, 
che le mense tra i finanziatori e i beneficiari siano sempre separate. 
Per il miglior beneficio degli oppressori.

Forse toccherà ad altri socialisti, o semplicemente ad altre persone 
di altra storia e cultura, produrre la “civiltà” del convivio
senza più l’esibizione di separazioni per censo, senza più separazione 
tra i Mille Euro e i dieci.

O no?
Severo Laleo


mercoledì 29 ottobre 2014

Elogio della scissione e estensione della democrazia



Molti, troppi, hanno paura di sostenere/difendere le proprie idee.
E la paura, si sa, blocca il cambiamento.
Eppure nessuno ha il monopolio del cambiamento.
I cambiamenti avvengono comunque, e non chiedono autorizzazioni
e non rispettano i divieti. Soprattutto i cambiamenti sociali.
Di più. I cambiamenti, in qualsiasi campo, decisi con la costrizione
all'obbedienza di dissidenti e/o con il sostegno di interessati
opportunisti sono da inserire nella categoria del già visto,
dei cambiamenti senza cambi.
Ognuno deve lottare per il miglior cambiamento possibile.
Soprattutto in politica. Sia da soli sia insieme ad altri.
Ognuno con le sue qualità/virtù, con i suoi difetti/vizi.
Ma può la paura oscura di un male nel presente
-ad esempio, una scissione- impedire la lucida realizzazione
di un bene nel futuro -ad esempio, l'estensione della democrazia?
Questo e' il punto. Molto laicamente.

Ora se Renzi travolge tutto e tutti è sicuramente perché non ha paura, 
anzi è sempre all'attacco, anche quando le idee non brillano affatto.
E' una scelta, la sua, per realizzare il suo cambiamento.
Non l'unico, non l'ultimo, e, per i blasfemi, non il salvifico.
Intanto costringe gli altri nell'angolo.
Ma, per il bene comune, in democrazia, spingere e tenere qualcuno
nell'angolo, chiunque sia l'autore, e' azione pugnace, violenta.
E' combattimento. Per una vittoria e per una sconfitta.
E, per il costretto all'angolo, scegliere l'angolo per tener duro 
spesso significa cedere all'avversario e quasi giocare di complicità.
La politica del cambiamento non è combattimento,
al contrario è dibattimento. Per un dialogo alla pari.
Per rendere visibile/praticabile il dibattimento bisogna uscire
dall'angolo, con un movimento intelligente, sicuro, 
conquistando spazio e respiro. E imporre il dialogo/confronto.
La scissione del Pd per la vita della democrazia
diventa quindi necessaria. Perché è  un uscire da un angolo 
per conquistare parità di parola, senza pugni. 
La sinistra ha il dovere di un'operazione di scissione,
se vuole tentare una nuova aggregazione unitaria nel nome 
dei diritti per l'uguaglianza delle persone.
Un Partito di Sinistra per l'estensione della democrazia 
contro il Partito della Nazione per la riduzione della democrazia.
E se l'estensione della democrazia ha le sue basi nel sistema elettorale 
proporzionale (“sono buoni i sistemi elettorali che danno potere 
agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e, peggio, 
quelli di alcuni, pochi, capi di partito” G. Pasquino),
un italicum tutto italiano può solo aspirare alla riduzione 
della democrazia tramite il Partito della Nazione. 
E se alla democrazia nazionale dell’italicum basta comunicare
dall’alto quel che c’è da fare, magari affabulando,
per conquistare il consenso, alla democrazia conviviale proporzionale 
questo non basta, perché la democrazia dal basso pretende
una comunicazione alla pari per dare risposte ai bisogni delle persone.
A partire da qui, ecco qualche proposta per il nuovo partito della sinistra.

Il nuovo partito della sinistra sarà un partito/comunità
un partito/convivio, un partito/essere insieme, un  partito/solidarietà, 
un partito/mutuosoccorso, un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove
e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari” tra le persone, 
dove la dirigenza sarà scelta anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, 
in spirito di servizio, siederanno “in pari numero” nei posti di guida, 
dove non si eleggerà a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, 
ma una “coppia”,  un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre, forma di potere erede storica del maschilismo
al “governo duale”, al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sarà, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. 
Un partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio
territorio/paese/quartiere, non solo, ad esempio, per chiedere
la riparazione delle buche nell'asfalto delle strade, 
ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche 
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per coniugare
la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà 
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità.  
Un partito/comunicazione  non più preoccupato di organizzare/dimostrare
la sua forza con “una” manifestazione politica, chiusa, in un unico
luogo di raccolta”, sempre centrale, ma disponibile a organizzare
tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” di lavoro politico,
e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica torni a parlare,
non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del suo esercizio 
reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli dove dibattito 
politico e azione amministrativa si incontrano e si fondono.
E magari aprire una discussione ampia sulla "cultura del limite", 
chiedendo, ad esempio, per una giusta distribuzione della risorse
di definire un limite alla ricchezza, e un limite alla povertà.
Infine, se il nuovo partito della sinistra non sperimenterà, 
oltre le fratture,  l’ardire del comprendersi guardandosi negli occhi, 
non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia 
e di trasformare la sovranità elettorale la “sovranità conviviale”.
Forse la scissione è la strada giusta.

O no?
Severo Laleo