venerdì 25 marzo 2011

Auguri, e grazie, on.le Tina Anselmi, esempio di libertà per le nuove generazioni.



Oggi, 25 Marzo, Tina Anselmi, compie 84 anni.
Auguri, e grazie, on.le Tina Anselmi.
Lei per noi rappresenta la possibilità stessa dell’integrità morale e politica.
Lei per noi è esempio alto e umile della possibilità della libertà della persona,
senza dipendenze di alcuna natura,
se non verso la Costituzione e la legalità.

Ma, oggi, tempi a illegalità diffusa, quanti la ricordano?
Eppure, a 49 anni, nel 1976, ha segnato un evento storico: 
è diventata Ministra del Lavoro,
prima donna in Italia a occupare la carica di Ministro.
Ed è una delle poche persone, tra i parlamentari, a meritare il, e a dare senso al,  
titolo di ONOREVOLE.
Quanti, soprattutto tra le/i giovani, molte/i dei quali pur sanno morte, vita e miracoli,
delle tante comparse al seguito dell’obbediente e vociante corteo di turno
per un egoistico e servile “successo”,
conoscono la storia della persona, libera e indipendente, Tina Anselmi?
E di chi è la colpa se questo accade in Italia?
Noi, grazie al lavoro di Tina Anselmi, sappiamo.
E mentre l’on.le Tina Anselmi, ancora oggi, con la sua testimonianza,
ammonisce contro la pericolosità delle P2, P3, P4,
proprio della P2 è stato un tesserato il nostro Presidente del Consiglio.
Ma le italiane e gli italiani devono ancora imparare a capire e gustare
la conquista personale della libertà,
abbandonando l’antico spirito gregario e maledetto
dell’indifferenza e della viltà.
O no?

domenica 20 marzo 2011

Contro la guerra. Sempre. Per aprire nuove strade alla pace.



Fino a quando i grandi paesi a democrazia storica non investiranno,
a prescindere, in metodologia/tecnologia della pace,
in strutture “scientifiche” di raffreddamento di conflitti,
(sempre prevedibili in base a una serie di costanti),
in nuove istituzioni per l’approssimazione di distanze,
la guerra sarà sempre in agguato,
perché, e oggi in Libia, rimane l’unica risposta, la più istintiva,
la più facile, sin dall’età della pietra, di fronte a una lite.
La guerra, è chiaro ormai a tutti, cova sempre
negli spazi dell’ingiustizia violenta dei tanti dispotismi,
spesso coperti, e a volte ammirati, questi signori despoti,
dal silenzio complice di governi pavidi,
esclusivamente per interesse di merce.
Grandi sono quindi le responsabilità dell'ignavia democratica.
Eppure, nonostante tutto, l’impegno a difendere sempre
le vie della pace non può essere abbandonato,
mai, se vogliamo tenere alta l’idea e viva la speranza
di un’umanità intelligente e solidale.
Per questo i miei “principi fondamentali sono pace e non violenza,
lavoro e giustizia sociale, sapere e riconversione ecologica
dell’economia e della società”.
Per questo il mio “orizzonte è un mondo futuro non dominato 
dalla forma di merce, nel quale il buon vivere sarà una funzione 
della conoscenza, della sicurezza, della bellezza, della convivialità
un mondo che metta in equilibrio città e campagna, ponendo 
un limite secco all’ipertrofia del cemento e della chimica;
un mondo non dipendente dai combustibili fossili e dall’uranio;
policentrico e tutore della variabilità: genetica, delle civiltà 
e dei linguaggi umani; capace di mettere al servizio di tutti 
la scienza, la tecnologia, la rete.Un mondo in cui venga bandita 
la miseria e la fame,  e in cui la guerra diventi un tabù.”
E quest’altro mondo, in cui la pace è l’unica soluzione, è possibile,
anche se il nostro mondo è ancora funestato da guerre 
e ingiustizie drammatiche. Per questo sono “contro la guerra”.  
Per questo aderirò “ad ogni iniziativa pacifista, per la prevenzione
dei conflitti e per la loro negoziazione pacifica.”
Per questo sono “per il disarmo e per un rigoroso rispetto
dell’articolo 11 della Costituzione. per un sistema di difesa 
su scala europea, che bandisca ogni forma di interventismo a sostegno
delle politiche seguite fin qui dall’Ue e dalla Nato”.
Per questo ho scelto Sinistra Ecologia e Libertà.
Per questo voglio difendere le mie/nostre idee.
O no?

mercoledì 16 marzo 2011

“Meno male che Silvio c’è” canta a suo modo Ferrara da RAI 1.


Ferrara… e Karima/Ruby
Anche io sono dalla parte di Karima,
ma senza confondere sacro e profano, senza scomodare il Vangelo.
Il Vangelo è per la salvezza dell’umanità,
ma per Ferrara, il Vangelo, è per la salvezza di Silvio Berlusconi.
Eppure anche io sono dalla parte di Karima, 
anzi sono stato dalla parte di Karima,
almeno fino al giorno della sua maggiore età, 
quando diventa, e solo allora, Ruby.
E sono stato dalla parte di Karima,
non solo per scelta personale, ma per imposizione di legge.
Nei confronti dei minori esiste un solo comportamento giusto,
ed è il rispetto della Convenzione sui diritti dell'Infanzia,
al di là di ogni visione etica e delle personali convinzioni morali.
Non esiste, davanti a un minore, per legge, la possibilità di esclamare:
Sono fatti suoi”. Ma Ferrara non conosce al Convenzione.
La Convenzione, all'art.34, prevede, da parte degli Stati, un impegno
"a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale"
e a adottare ogni misura "per impedire:
a) che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi a una attività sessuale illegale;
b) che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali;
c) che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli
o di materiale a carattere pornografico".
Chiarissimo, dunque.
E il rispetto della Convenzione è un atto dovuto 

soprattutto da parte dei "servitori" dello Stato,
e il Presidente del Consiglio, quale primo "servitore" dello Stato,
ma abituato purtroppo a vestire solo e sempre l'abito del "padrone",
non ha saputo capire e rispettare i diritti di una minorenne,
quando è apparsa al suo cospetto di “primo servitore” dello Stato;
svelando d'istinto la sua profonda inadeguatezza rispetto al ruolo, 
al di là di ogni ipotesi di reato (concussione e prostituzione minorile). 
Ogni altro pubblico “servitore” dello Stato, conscio dei suoi doveri, 
al suo posto, si sarebbe comportato meglio, 
pena l’allontanamento cautelare dal posto di lavoro.

Ma non sono più dalla parte di Ruby, quando sceglie liberamente, 
da maggiorenne,di usare il suo corpo per "vivere", 
perché l'uso del proprio corpo per vivere (o vivere meglio)
è comunque una rinuncia, consapevole o no, all'esercizio della propria libertà,
in quanto realizza una dipendenza totale dal volere di un'altra persona,
più ricca e potente, in un diseguale scambio,
inaccettabile in una società civile di liberi e uguali.
La vendita del corpo (e dell'intelligenza), per qualunque ragione, 
realizza sì un "profitto", ma spoglia la persona di dignità.
"Meno male che Silvio c'é" canta allegro e libero e intelligente Ferrara.
Ecco dunque il nostro tempo, anzi il tempo berlusconiano, 
che ha distrutto i confini entro i quali la cultura,
etica e persino economico-giuridica, aveva protetto l'idea 
di dignità e libertà della persona,
per aprire l'era della “casa della libertà” in Arcore, 
ed eliminare ogni residuo di una cultura del limite.
E forse ora di reclamare l’esistenza di un “limite”
– il rispetto della pari dignità delle persone-,
al di là del quale a nessuno sia consentito andare, specie se ricco e potente.
O no?
Severo Laleo

domenica 13 marzo 2011

Perché oggi siamo l’Italia, noi.


Perché noi gente del Sud, uomini e donne di un promontorio di periferia,
sdraiato al sole nel mare Adriatico,
dobbiamo festeggiare il 150° anniversario dell’unità d’Italia?
Perché?
Perché dobbiamo festeggiare, noi, che pure ricordiamo
i nostri briganti di bosco, d’ingenuità ribelli violenti, sterminati a tradimento,
i nostri contadini e pastori, strappati alla terra, soldati per forza, senza terra,
i nostri primi studenti di scuole comunali, povere, senza aiuti di Stato,
i nostri timidi giovani, spogliati di speranze, esclusi dalla corsa “piemontese”,
i nostri sapienti operai e mastri, rubati di lavoro, trasferito alla modernità del nord,
le nostre operose famiglie impoverite da un’economia coloniale?
Perché?
Perché in quel dolore del Sud abbiamo imparato
a capire il nostro Risorgimento,
a dialogare con i nostri maestri liberali e antiborbonici,
a cantare i nostri “Fratelli d’Italia”, morti dappertutto per l’Unità,
a emigrare dai nostri paesi, per correre la fortuna nel mondo,
a morire per la nostra Resistenza, per costruire da Ventotene l’Europa,
a scrivere la nostra Costituzione, senza spaccare il Paese,
a donare la nostra cultura a tutti, senza paure,
a diventare cittadini del mondo, con l’orgoglio italiano,
a superare l’egoismo straccione, con l’accoglienza solidale,
a rifiutare le voglie di secessione, con la difesa dell’unità del Paese,
a respingere l’isolamento nelle proprie tradizioni, con il rispetto di ogni cultura.
Perché noi gente del Sud, uomini e donne di un promontorio di periferia,
sdraiato al sole nel mare Adriatico,
dobbiamo festeggiare il 150° anniversario dell’unità d’Italia?
Perché quest'Italia, oggi, siamo noi.
O no?

mercoledì 9 marzo 2011

Il coraggio di fare da sole. E un commento

da "La Repubblica"
Il coraggio di fare da sole di GIULIA BONGIORNO
Caro direttore, di fronte al declino morale, politico e sociale che caratterizza oggi il nostro Paese, molti invocano  -  come "indifferibile"  -  un rinnovo della classe dirigente.
La soluzione più immediata con la quale si immagina di venire incontro a questa diffusa esigenza di rinnovamento è il ricambio generazionale: volti giovani, selezionati con criteri rigorosamente meritocratici, al posto di quelli anziani. Tuttavia questo ricambio, in sé auspicabile, sarebbe insufficiente: svecchiare su base meritocratica oggi non basta. Oggi serve anche altro. Perché tra il passato e oggi c'è il caso Ruby, che ha cambiato profondamente le donne italiane: non sono più disposte a sopportare le umiliazioni, né ad accettare la subdola tecnica della minimizzazione, ovvero il ridimensionamento delle anomalie di cui sono vittime. Lo stesso premier continua a citare pubblicamente il bunga bunga con un sorriso sulle labbra che sarebbe inspiegabile, incomprensibile, se non fosse diretto a suscitare l'indulgenza, quando non la complicità e l'applauso, di chi lo ascolta. Probabilmente, con il preciso scopo di trasformare nell'ennesima barzelletta quell'"opzione harem" che non è in grado di giustificare.
Subire passivamente la tecnica della minimizzazione, lasciando che il tempo sbiadisca la vergogna, sarebbe un errore gravissimo, per gli uomini come per le donne. Al contrario, il caso Ruby deve rimanere scolpito nella memoria di tutti come un monito, un exemplum in negativo  
dal quale prendere le distanze con sdegnata fermezza e che ci aiuti a orientare le nostre scelte.
Se le donne vogliono scongiurare il ripetersi di una umiliazione così rovinosa è necessario che si facciano promotrici e protagoniste di una trasformazione culturale rivoluzionaria il cui primo traguardo è una presenza più consistente delle donne stesse all'interno della classe dirigente: alla guida del paese, alla testa delle aziende, ai vertici delle istituzioni culturali e dei media. Soltanto quando ricopriranno ruoli di potere, questa trasformazione potrà compiersi davvero.
In quel momento, tutto il peggio subìto dalle donne nel corso della storia diventerà una faretra di frecce al loro arco. Nessuno come loro, abituate da sempre a faticare il doppio per realizzare i loro desideri e raggiungere i loro obiettivi, costrette a inventarsi un giorno dopo l'altro una strategia di sopravvivenza tra casa e luogo di lavoro, chiamate continuamente in causa da compagni, mariti, figli, genitori, che richiedono cure e attenzioni, è in grado di ascoltare, riflettere, mediare. Di trovare soluzioni anteponendo il bene comune al proprio. E allora, parafrasando il titolo di un bel romanzo uscito qualche anno fa, "un giorno, quel dolore sarà utile".
Si assisterà all'esito naturale di un processo che ha già preso avvio e che deve realizzarsi in maniera sempre più consistente, ampia e diffusa: i sacrifici sostenuti dalle donne per affermarsi impediranno loro di usare i festini hard come criterio di selezione della classe dirigente e le spingeranno a ricercare e a distinguere, costantemente, il merito; le discriminazioni patite le indurranno a rifiutare leggi ad personam e le guideranno nella formulazione di norme che assicurino una giustizia uguale per tutti, mentre l'assenza di forme di tutela legislativa che le ha penalizzate in passato le condurrà a rispettare, sempre, anche le leggi non scritte; e le contestazioni con le quali si sono ribellate ai soprusi e alle ingiustizie le porteranno ad accogliere le critiche come contributi costruttivi, anziché a respingerle per partito preso come forme di insubordinazione fini a se stesse. D'altro canto, dal momento che alle donne non è mai stato perdonato niente e i loro errori li hanno sempre pagati cari, se sbaglieranno sapranno lasciare il comando immediatamente - di certo, comunque, prima che qualcuno invochi le loro dimissioni. E infine, dato che non dimenticheranno il caso Ruby, rifiuteranno come ripugnante la sola idea di usare il loro potere per risolvere questioni private.
Ecco perché le donne devono avere il coraggio di pretendere di essere protagoniste. Ma devono pretenderlo subito e non aspettare un imprecisato futuro in cui si realizzeranno le condizioni adatte. Non c'è tempo per aspettare e soprattutto è inutile illudersi: nessuno creerà quelle condizioni, nessuno agevolerà l'ascesa delle donne, nessuno offrirà loro quelle chances. Le donne devono fare tutto da sole. Ma sono abituate anche a questo. 

Presidente Bongiorno, condivido pienamente le sue riflessioni.
Vorrei solo aggiungere:
1. per quanto riguarda il "ricambio generazionale", perfettamente d'accordo, in linea generale, ma vorrei si considerasse la sofferenza di chi, oggi non più giovane, è stato espulso dalla possibilità di diventare parte della "classe dirigente", a causa di una sua serietà/onestà di fondo; la storia di queste espulsioni non è stata ancora scritta;
2. l'ostinazione degli uomini nell'ostacolare il merito di donne, e uomini, è soprattutto figlia del maschilismo endemico e ignorante di questo nostro Paese;
3. per avviare una "trasformazione culturale rivoluzionaria"  sono necessarie anche regole nuove; per quanto mi riguarda, da militante della sinistra, sono favorevole, insieme ad altri, alla proposta di una codificazione di una regola semplice semplice, ma utile alla "rivoluzione culturale": l'elezione, a livello di organizzazione di partito, dai circoli al livello regionale, di due coordinatori/segretari, un uomo e una donna (a mio parere anche a livello nazionale, romperebbe quel connubio ancora stretto, almeno in Italia, tra maschio e potere!);
3. diffiderei degli "esiti naturali" di un processo di affermazione del merito sino a quando permarrà, nelle coscienze e nell'educazione diffusa (non da parte della scuola, ma delle altre agenzie) delle nuove generazioni, la sirena irresistibile di un danarismo avvilente;
4. da uomo di scuola, separerei il "caso Ruby" dalla persona "Karima"; se Ruby avesse incontrato, per un qualsiasi caso, altro Presidente del Consiglio e altri uomini, noi oggi si parlerebbe della storia personale di una ragazza difficile di nome Karima, da aiutare nella sua cresita, e non del "caso Ruby"; il caso Ruby è l'esito obbligato di una sottocultura di fondo maschilista, aggravata da un indecente strapotere economico, che rende vile ogni rapporto;
5. i "criteri rigorosamente meritocratici" sono ancora da venire; serviranno decenni di educazione etico-politica, educazione oggi assente nelle scuole, per dare un senso sociale al merito; l'italico familismo amorale macchia di egoismo il senso dello Stato; ancora oggi non riesco a capire attraverso quali prove di "merito", certo molto severe, sia passato il Balducci per diventare "gentiluomo del Papa", e ancora adesso non riesco a capire perché, per quali meriti, possa essere definito democratico, moderato, liberale e cattolico, e uomo vicino alle gerarchie di Chiesa, il sottosegretario Letta (Gianni), se del Berlusconi, l'uomo del caso Ruby, è il più potente braccio destro.
E per ultimo, credo abbia ragione anche Saviano, quando afferma l'importanza di una lotta alla luce del sole alle mafie e a ogni tipo di corruzione.
O no?