sabato 30 marzo 2013

Caro Presidente Napolitano




Caro Presidente Napolitano,
c’è qualcosa di antico nelle “procedure formali”, da tempo consolidate, 
per la formazione di un governo.
Forse oggi non sono più adatte a questi tempi nuovi.
Una forza “rivoluzionaria”, o almeno del “cambiamento” dell’agire politico, 
è entrata in Parlamento.
I nuovi eletti del M5S sono portatori di un nuovo modo
di concepire la democrazia, aspirano a realizzare
la sua più ampia estensione per giungere alle decisioni.
Sono per la democrazia dell’ “Uno Vale Uno”, una nuova idea
di democrazia, una democrazia, cioè, “teorizzata da molti,
ma mai veramente messa in atto con strumenti adeguati”.
Prevede, questa nuova idea di democrazia, “la volontà
di mettere nelle mani dei cittadini la possibilità di fare
la differenza e di poter contribuire fattivamente al processo decisionale 
su questioni che lo riguardano direttamente o indirettamente”.
Ora, caro Presidente,  molti “cittadini” sono in Parlamento. E molto 
tengono al ruolo importante di “cittadini”. Addirittura la capogruppo
del M5S alla Camera s’è offesa nel sentirsi dare dell’”onorevole”,
e ha preteso per sé il nome di “cittadina”.

Caro Presidente, per favore, non si chiuda in gruppi ristretti, 
sperimenti questa nuova strada, nel rispetto delle idee del M5S
ascolti questi “cittadini” in Senato, uno ad uno, 
anche via Skype, non credo pretendano “formali”  canali di comunicazione, 
perché, sempre nel rispetto della democrazia del M5S, ogni senatore Vale Uno
Solo con una diretta responsabilità personale, caricata ora
del nuovo ruolo istituzionale, con una responsabilità, cioè, di “cittadini”, 
e non di Gruppo, che è comunque guidato da portavoce esterni, 
potranno, questi “cittadini”, in un colloquio faccia a faccia con Lei,
garante per tutti della Costituzione e della libertà politica di ciascuno,
contribuire a risolvere i Suoi nobili dubbi e contribuire alla Sua riflessione.

Quando il nuovo si affaccia, se è veramente nuovo, bisogna accoglierlo 
con nuove “formalità”, altrimenti il cambiamento
rischia di incartarsi nel perpetuarsi delle vecchie logiche di potere.
Tra l’altro, il parlamentarismo puro è sempre esistito.
Non vorrei che, per non aver dato ampio spazio alla voce
dei rappresentanti della democrazia UVU, dell’”Uno Vale Uno”,
la vera novità nel panorama politico tradizionale,
si cadesse di nuovo nella ricerca spasmodica, e quasi obbligata,
d’emergenza, di un altro leader carismatico, magari questa volta
di sinistra”, a cui affidare la soluzione dei problemi.
Non può essere ancora così nel XXI secolo! 
La democrazia o è delle persone o è un imbroglio.
La “sovranità” nella nostra costituzione è di natura  partecipativa, anzi, 
se fosse possibile realizzare l’art. 3, potrebbe diventare 
addirittura una “sovranità conviviale”.
O no?

Tante buone cose, Presidente, e grazie di tutto. E tanti cari auguri.
Severo Laleo

venerdì 29 marzo 2013

La democrazia in Italia a un bivio, tra boss e cittadini




I partiti
Via tutti i partiti”, “Aboliamo i partiti”!
Ma quali partiti? Esiste solo un partito, in verità, a struttura pienamente 
democratica, ed è il Pd. Ed è il solo partito ad avere
un segretario scelto con un voto popolare, un segretario diventato 
candidato Premier grazie a una nuova, importante, tornata elettorale. 
Il Pd non è un partito di un “boss”, ma un partito di “cittadini”.
E solo da poco la Lega è tornata alla democrazia interna,
dopo avere, miseramente, perso il suo “boss”. Anche Sel,
se si guarda alla sostanza, è ancora un partito del “leader”.
Il Popolo della Libertà non è un partito a struttura democratica,
è il partito di Berlusconi, e i suoi “servi liberi”, maestri d’ossequio,
nominati deputati e senatori per grazia ricevuta, obbediscono, 
perinde ac cadaver, al proprio “boss”, senza discussione, 
e senza discussione obbedisce anche il suo segretario Alfano, il primo,
nella storia della nostra Repubblica, ad essere insieme Segretario
e segretario.
Il M5S, per scelta dei suoi fondatori e proprietari del marchio,
non è un partito, è un movimento, non proprio libero di scorazzare,
perché ha un suo “boss”, incontestabile, alla guida. Ma i suoi “cittadini”, 
per fortuna, non sono “servi liberi”, perché, anche se hanno l’obbligo 
di muoversi in un recinto, con portavoce da guardia in agguato, 
non hanno mai rinunciato, grazie anche alle loro storie di attiva 
responsabilità nei territori, alla qualità di essere, comunque e sempre, 
cittadini”, con tutta la nobiltà storica e etica del termine, 
e con l’intatta facoltà dell’esplosione, quando possibile, 
del libero convincimento secondo scienza e coscienza (e non solo interesse).

Le consultazioni
Il problema della democrazia in Italia, palese in queste ore di formazione 
del nuovo governo, è tutto qui, nell'irrisolvibile differenza di struttura di partito, 
delle parti in dialogo.
Consultare il Pdl significa ascoltare le ragioni, personali, di un uomo e basta 
(con tutto il peso dei suoi interessi); non esistono altre preoccupazioni o, 
se esistessero, sarebbero solo il condimento per fini di altra natura;  
il dibattito politico è prigioniero di un capo che non rischia mai il suo posto 
di guida e decisione.
Consultare il M5S significa ascoltare la furia (almeno nelle parole, impiegate 
spesso per iperboli insolenti, ma gustose al palato degli arrabbiati) demolitrice, 
personale, di un uomo e basta; non si intravvede (ancora) la ragione, 
pur leggibile nelle tante proposte di legge, del costruire in responsabilità; 
il dibattito politico è prigioniero di un capo che non rischia mai il suo posto 
di guida e decisione (almeno sino a quando i “cittadini” non si troveranno
a discutere insieme da “cittadini”, ciascuno con il proprio libero convincimento).
E in queste consultazioni sui generis solo il “normale” Bersani
con un vero partito alla spalle, rischia il suo posto in un libero dibattito 
politico interno. Il risultato? L'antipolitica dei boss uccide la politica dei cittadini.

Il Governo
Dimmi con chi vai e ti dirò che democrazia sei.
Con il governissimo? E’ la fine della democrazia nella generale
e indistinta omologazione, per la gioia dei conservatori (illiberali).
Con il governo di minoranza di Bersani? La democrazia apre
finalmente una strada straordinaria verso il cambiamento (liberale).
Con un nuovo leader/boss “simpatico” a destra e a sinistra?
La democrazia perde per strada, ancora una volta, la possibilità
di una riforma della politica a sovranità conviviale.

Per una proposta
Le Consultazioni dei boss non liberano le energie “contenute
dei singoli Parlamentari, e rendono comunque impossibile il cambiamento. 
I Gruppi sono il risultato quantitativo della raccolta dei voti sul mercato 
elettorale da parte di boss e di partiti.
Molti dei nostri Parlamentari, e questo è un dato indiscutibile,
sono “prigionieri” in una gabbia dorata, per libera (?) scelta.
Non possono, quindi, essere i Gruppi i responsabili di fronte
al paese, e alla gravità della sua crisi economico-sociale, 
se non si riesce a trovare una soluzione rispondente al dirompente 
dato elettorale, ma le singole persone elette in Parlamento, 
nella loro qualità di cittadini, a prescindere dai Gruppi di appartenenza.
Forse è bene sperimentare un’altra strada per giungere alla formazione 
di un governo, andando a cercare una “fiducia sperimentale
non più chiedendo ai boss, ma consultando i cittadini.

O no?
Severo Laleo

mercoledì 27 marzo 2013

Pro memoria (non si sa mai)




Il Parlamento è il luogo della più alta libertà personale,
costituzionalmente garantita, di espressione e decisione.

Ogni Parlamentare (lettera maiuscola, non a caso), 
con la sua presenza e attività, ha il dovere di tenere alta 
questa eccezionale riserva di libertà di espressione/decisione.

La persona Parlamentare manifesta la sua libertà, 
all'esterno, in accordo con la sua interiorità, 
con parole e atti, comunque insindacabili.

Negli ultimi vent'anni il Parlamento è stato ridotto,
grazie a una legge porcata, da due capi-padroni voluta
(Bossi e Berlusconi), a spazio “pigiabottoni”, nell'interesse,
spesso esclusivo, del padrone dei “posti” in Parlamento.

Il voto “Ruby nipote di Mubarack” sarà la nostra, 
di tutti noi, indelebile vergogna dell’asservimento 
di un Parlamento agli interessi di una sola persona.

Il M5S è stato premiato soprattutto per la sua limpida battaglia
contro ogni disonestà. Con il M5S torna nella maggioranza
del Parlamento la libertà personale di coscienza.

L’indipendenza del  Parlamentare da ogni condizionamento,
di qualunque origine e natura, è fondamentale per l’esercizio
di una politica nell'interesse generale non asservita 
a qualche manovra di interessi egoistici e personali.

Il Parlamento è soggetto della politica, non oggetto; e la politica
scaturisce dall'esercizio delle libertà individuali di ogni membro.

Più è libero il Parlamentare più è libera la società; più si lavora
in libertà personale, più si estende la libertà di tutti.
E la trasparenza assoluta è la strada maestra per la libertà
di ogni cittadino.

Appena, per una qualsiasi ragione, per un caso anche nobile,
si obbedisce a un’autorità esterna al proprio libero convincimento,
la mia/nostra libertà viene uccisa.

Spero non capiti più. 

Gli italiani,  ha lasciato scritto Piero Gobetti, “hanno bene animo 
di schiavi”: ora, forse, anche grazie all'incontro 
tra le vostre oneste persone e la persona onesta Bersani, 
sarà possibile diventare un popolo di persone libere.

Forse una persona normale non aspetta altro.

O  no?
Severo Laleo



Un’altra fiducia forse è possibile: la si sperimenti



Bersani ha introdotto una novità, credo, anzi una discontinuità,
assoluta, nell'aver distribuito a tutte/i  le/i parlamentari 
il testo degli Otto Punti per la formazione del nuovo Governo.

Bene. Ma per l'assunzione consapevole di una personale 
responsabilità politica, nei confronti dell'elettorato,
non basta.

Il Presidente con preincarico dovrebbe, su quei punti, 
ascoltare tutte le persone elette, una ad una, faccia a faccia,
se vuole avere una corretta idea dei “numeri certi” 
per la fiducia, almeno sino a quando in Parlamento siedono
persone che debbono tutto a  “qualcuno” (lascio il maschile,
senza dubbio, è quasi sempre un maschio il padrone!)
per la loro elezione.

O no?
Severo Laleo

martedì 26 marzo 2013

Fiducia sperimentale: nuove modalità per la ricerca di “numeri certi”




I fatti

Bersani è il segretario di un partito, il Pd, a sicura struttura democratica; 
ed è stato scelto, quale premier del centrosinistra,
in una libera e corretta consultazione elettorale. Non può sottrarsi al dovere 
di dare un governo al Paese.
Berlusconi è … ma  è  meglio lasciare la parola a Emanuele Macaluso, 
dal Corriere della Sera: “Il Cavaliere non vuole un governo, ma solo, 
come dicono i suoi amici, un salvacondotto. Se volesse un governo 
avrebbe dovuto adottare una condotta politica più riservata, mettere 
avanti il segretario, i capigruppo, fare emergere il partito (che non c’è) 
e la coalizione con la Lega (sparita). Berlusconi, invece, è sulla scena
come capo assoluto, guida la truppa (anche la Lega) nei colloqui 
con il capo dello Stato, monopolizza radio e tv, fa comizi incendiari, 
grida per fare capire a tutti (specie ai magistrati) che è lui che fa o non fa 
il governo, è lui che decide se bisogna votare subito o no, è lui che decide 
le sorti del Paese. E questo «lui» non può essere giudicato in tribunale. 
Ecco «l’accanimento politico» da contrapporre a quello «giudiziario». 
Ciò rende impossibile una trattativa con un soggetto che non è un partito 
ma una persona che opera solo per ottenere un fantomatico salvacondotto”. 
Perfetto. Più chiaro di così!
Grillo è il “capo”, mai eletto, di un Movimento, ma ecco
la stridente contraddizione, un movimento bloccato, rigido, impossibile 
a muoversi, e a discutere, perché il suo padrone, Grillo appunto, ha un potere 
assoluto sui “suoi” senatori, eletti grazie alla sua abile imprenditorialità 
nel coagulare in rete una forza di protesta disponibile nel mercato dei voti 
(in verità le singole persone del M5S hanno molto spesso un legame 
con i propri territori e con i temi reali della politica  quale ricerca di soluzione 
dei problemi di una collettività/comunità). E il suo fine politico ultimo è 
l’abolizione dei partiti.

Le conseguenze

Se questi sono i fatti, e sono i fatti, quale governo può mai nascere 
se un Segretario, democraticamente eletto, deve confrontarsi con “capi” 
che hanno un potere assoluto sui propri eletti “dipendenti”?
Esiste solo una possibilità. Sperimentare nuove forme di consultazione, 
non più a gruppi, ma persona per persona; il tempo non è un ostacolo, 
se si vogliono liberare le responsabilità soggettive, costituzionalmente garantite, 
di ogni singolo/a parlamentare, dal vincolo di impari rapporto con chi è l’artefice
della loro nomina. Ma a una condizione: siano trasparenti gli incontri, 
anche in streaming, e sia l’oggetto del colloquio, rigidamente, 
l’elenco dei punti programmatici. Perché, si sa, gli Scilipoti nascono e prosperano 
al buio.

La conclusione paradossale

Solo grazie alle persone del M5S (è difficile sperare nella "libertà" di chi 
si è votato al Popolo della Libertà - del suo capo -), sarà possibile 
un radicale e utile e irreversibile cambiamento nell'agire politico della nostra 
malata democrazia. E sarà grazie a Grillo, se una battaglia per l’abolizione 
dei partiti si trasformerà in un impegno forte a riformare, secondo costituzione 
e democrazia, i partiti del futuro.

O no?
Severo Laleo

lunedì 25 marzo 2013

La fiducia “sperimentale”




La politica rischia di nuovo di impantanarsi nelle tresche di Palazzo.
Appare ancora tutta bloccata da una prassi costituzionale costruita 
ai tempi dei grandi partiti di massa, in un modo o in un altro a struttura 
democratica, e spesso pensosi del bene pubblico.
Oggi, al contrario, tutto sembra tornare nelle mani di pochi “decisori”,
non tutti pensosi del bene pubblico.

Anzi nelle mani del giocatore più abilmente spregiudicato, pronto
a ricattare, neomoderato del XXI secolo, il Presidente
del Consiglio incaricato, con minacce di sovversivismo istituzionale,
agitando le sue carte false; sì, false, perché il centrodestra per la prima 
volta nella storia della Repubblica è minoranza nelle aule parlamentari 
e nel Paese; e non ha più la forza di imporre le sue condizioni, 
come sempre ha fatto nella storia del dopoguerra; per questo Berlusconi 
si sgola, anche da un palco di ritmi e canti napoletani, e dinanzi a una folla 
di danzatori, molti a pagamento, perché sa di essere vicino alla sua definitiva 
uscita di scena. E allora urla, perché solo urlando può trovare forse 
qualcuno che l’ascolta, anche nel Pd, anzi nel Pd moderato di Renzi.
Per la gioia piena di un Grillo visibilmente in difficoltà.

Qual è il rischio delle tresche? Che possa nascere un Governo
di Larghe Intese, tra un partito, il Pd, comunque a struttura democratica, 
e un partito (si fa per dire!), il Pdl, a struttura, non solo padronale, 
ma completamente asservito agli interessi personali, anche giudiziari, 
del suo capo. Cioè un governo di pura difesa dei riti inciuciari 
e non trasparenti di sempre, arroccato, e sordo alle pressanti richieste 
di cambiamento, esplicitamente gridato dalle urne. E tutto questo
 mentre un "Movimento" per il cambiamento gongola a cinque stelle
per la rovina del Paese. E’ mai possibile?

E perché mai dovrebbe assecondare questa corsa alla rovina il Sindaco
di Firenze, Renzi, l’icona del “nuovo”, propugnatore di un nuovo modo 
dell'agire politico, lontano da tresche, leale con gli elettori, e difensore 
da sempre della trasparenza in politica, cioè di quella scelta rivoluzionaria
di poter raccontare in piazza, a conferma democratica di ben operare,
quanto di interesse di pubblica utilità si concorda nel segreto di un incontro? 
Solo per tirare il suo rigore in prossime primarie?

In verità Bersani, unico tra i segretari di partito ad aver ottenuto
una legittimazione popolare di notevole rilievo, ha capito, dopo avere
analizzato il senso profondo del voto, con grande senso 
di sensibilità/responsabilità democratica, la strada da percorrere: 
presentare precisi punti di programma per il cambiamento –questione morale 
e questione sociale- a tutto il Paese, attraverso i singoli rappresentanti
in Parlamento, alla luce del sole, senza truccare la “partita” (uffa, speriamo
riesca Bersani anche a evitare, per restituire “serietà” alla politica, 
tutte le metafore penosamente calcistiche della nostra politica berlusconizzata).

Il nostro Presidente della Repubblica, rigoroso interprete
della Costituzione, e della sua consolidata prassi, ha ascoltato, 
per la formazione del nuovo governo, solo i gruppi e i leader (e che leader!), 
dando per scontato il voto di tutti gli “appartenenti” secondo ubbidienza. 
Non  è più così. Ed è da un po' che l'ubbidienza non è sempre una virtù!
Il cambiamento, oggi, non è tanto nelle mani di questo o quel  “partito”, 
di questo o quel “gruppo”, quanto nelle mani costituzionalmente garantite
di ogni parlamentare. Se il Presidente insiste nel chiedere certezza di numeri 
prima di inviare alle Camere il nuovo governo, dovrebbe dare facoltà e tempo
al Presidente incaricato di procedere all'ascolto, faccia a faccia, su quei punti,
di tutte/i  le/i  parlamentari, perché, solo restituendo ai soggetti, in un momento 
di grande responsabilità personale, una libertà piena e incondizionata, 
senza vincoli di disciplina di appartenenza (sarebbe tra l'altro una modalità 
di un parlamentarismo moderno e responsabile), è possibile dare un senso 
all'alta funzione, propria di ogni rappresentante del popolo, del voto, 
per appello nominale, di "fiducia". 

Bisogna dunque "sperimentare" nuovi percorsi, quando i sentieri noti 
diventano inagibili. Il cambiamento non può essere più nella mani dei pochi 
che trescano, a volte, solo nel proprio esclusivo interesse con la scusa di dare 
un "governissimo" al Paese, con l’aggravante dell’ipocrisia di definirsi
responsabili nella ricerca dell'accordo; il cambiamento è ora nelle mani 
delle persone che siedono in Parlamento, a qualunque gruppo appartengono,
perché ad esse soltanto, soggettivamente responsabili, spetta il compito/dovere 
di dare una fiducia “sperimentale”, da verificare in corso d'opera, a un governo 
di cambiamento, dopo vent'anni di immobilismo rovinoso.

O no?
Severo Laleo 


giovedì 21 marzo 2013

Bersani e il Governo (nuovo) delle Persone




C’è una novità politica, assoluta, nel ragionamento di Bersani,
dopo l’incontro con il Presidente Napolitano. Ed è la novità, 
per l’unico cambiamento oggi possibile, del parlare, 
e contemporaneamente chiedere un voto di responsabilità, 
alle persone del Parlamento, secondo la libera convinzione di ciascuna/o.

Il parlare, e chiedere un atto di coraggio politico, alle Persone presenti 
in Parlamento, e non ai Partiti (quel che ne rimane!), sulla base di un programma
di cambiamento, a ogni parlamentare, singolarmente, inviato, 
è la sola via d’uscita dalla crisi. La crisi politica, attraverso la quale si è aggravata 
la crisi sociale ed economica, è figlia dell’accucciarsi, per egoismi personali, 
danarosi e di potere, di un’intera classe politica in perenne interessata adulazione 
del proprio “capo”. A ciascuno il suo.

Il governo del cambiamento non può nascere dal sì dei “partiti” e/o 
dei “movimenti”, generatori, in un modo o nell'altro, della dissoluzione 
della democrazia, partiti e movimenti, appunto, trasformati in corti, 
ora vocianti ora silenti, al servizio di un “capo”. Può mai nascere un governo
con il voto di fiducia di un Razzi sempre sorridente e di un mai domo Scilipoti?
Quale valore avrebbe la parola "fiducia"!
Via, lasciamo i loro voti esclusivamente nella disponibilità del loro capo.

Bersani, unico segretario di partito legittimato da un ampio voto democratico, 
è il solo ad avere la forza di rompere gli antichi schemi, e proporre una nuova 
soluzione per un Governo delle Persone.

Altre uscite dalla crisi sono o il ripristino della prepotenza
dei partiti/movimenti padronali attraverso un governo istituzionale
o del presidente (costretti a trovare un accordo per non cambiare),
o la perpetuazione dell’errore di inseguire qualche nuovo (giovane?) fantomatico
leader, attraente risolutore sì, ma solo scompattando/ricompattando le forze
in campo, per la rinuncia definitiva al cambiamento, o a un suo contenimento.

Parlare alle Persone è correre il rischio del trasformismo? Senza dubbio, 
ma se i partiti sono padronali, il trasformismo diventa fattore nobile di libertà.

O no?
Severo Laleo

Per la Poesia nella sua Giornata Mondiale 2013




Cielo


Non esiste
Luogo di diversità
Più ampio
...
Tutte le stelle
Nel cielo
Brillano.


Severo Laleo

mercoledì 20 marzo 2013

Messora e Martinelli non sono badanti




Beppe Grillo ha nominato Claudio Messora e Daniele Martinelli
coordinatori della comunicazione” di Senato e Camera. Pare per evitare
altri disordini e caos, dopo il pasticciaccio della libertà di coscienza e di voto
di qualche birichino senatore nel duello Schifani/Grasso.
Coordinatori della comunicazione”. Nessuno ci crede, soprattutto
nell'ambiente delle news. Per questo son diventati subito i “badanti”.

In realtà, quale sarà il compito assegnato ai due “coordinatori
non è per ora ben chiaro, al punto che la trasparenza nel M5S
ne soffre a morte. Ma presto salterà agli occhi di tutti, appena le persone
del M5S in Parlamento ne potranno apprezzare le alte qualità di “comunicazione”.
E succederà presto.

Sì perché il Messora e il Martinelli non sono i “badanti” di poveri
vecchi rimbambiti (aggettivo valido solo in questo contesto),
da cercar, per finta, di capire per poi guidare dove vuoi, ma
di giovanotte/i in fermento di libera crescita e di libero movimento
(sono o non sono Movimento?).

Avranno dunque un compito più ingrato il Messora e il Martinelli,
perché, più che “badanti” di vecchi rimbambiti, saranno, immagino,
dei bidelli, dal Preside comandati, inaspettata voglia, a mantenere l’ordine,
ultima ora, dinanzi a una quarta classe agitatina di un istituto tecnico,
in assenza del prof. di storia (ritardatario abituale).

Ma una quarta agitatina pronta a far silenzio proprio non esiste.
O no?
Severo Laleo

martedì 19 marzo 2013

Il movimento, la rete, i partiti e la “sovranità conviviale”




Oggi si parla tanto della vittoria del “movimento”, e della sua “rete”, 
nella recentissima sfida elettorale; e sembra una vittoria della democrazia
aperta e trasparente contro il dispotismo dei “partiti” tradizionali, 
corrotti e chiusi nelle proprie gerarchie.
C’è del vero in quest’affermazione. Ma attenti a non scivolare
nel lago stagnante delle false idee immobili.

Sia chiaro, la rete è “uno”  degli strumenti per l’esercizio aperto
della democrazia; ma, se diventa “lo” strumento, unico,
per l’esercizio aperto della democrazia, rischia, sia se la rete è da un “padrone” 
diretta e controllata, sia se la rete è senza alcun controllo, di divorare
la soggettività responsabile delle persone e per questo di diventar violenta.

La democrazia moderna, dopo aver colpevolmente subito e accarezzato
il “partito carismatico” (ma da noi il carisma è stato del danaro avvilente),
il “partito del leader” (anche quando il leader era piccolo, piccolo), 
il “partito personale” (spesso all'interno di uno stesso partito, ad esempio il Pd),
il non-partito “movimento” (stranamente rigido nelle posizioni del suo “motore”), 
ha ora bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno di “più partito”, 
cioè di un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove e trasparenti rendono possibile 
una relazione “alla pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche
per “sorteggio”, dove uomini e donne, in spirito di servizio, siedono 
in pari numero” nei posti di guida, dove non si elegga a “capo” un “singolo”, 
spesso un maschio, ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sia,
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall'altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti.

Se i partiti e i movimenti, in sé, sono senza regole di democrazia,
trasparenti e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione delle idee, 
se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, l’ardire del comprendersi 
guardandosi negli occhi, non potranno mai essere in grado di estendere
la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.

Altrimenti è sempre e ancora "partita", e tifo unto di interessi d'egoismo.

O no?
Severo Laleo

lunedì 18 marzo 2013

La saggezza (avara) di Renzi






A leggere Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera.it, Renzi ha dichiarato: 
«Se si fa un governo che dura una legislatura per me è anche meglio. 
Mi ricandido a sindaco e ho il tempo di rafforzarmi nel partito e all'esterno».

Vedi? La saggezza di Renzi è sempre un po’ più avanti della “pancia” dei suoi sostenitori più pigolanti, spesso pronti a “volar nei nidi altrui”.

Eppure, superata la fase dell’esaltazione dell’ambizione fine a sé stessa, 
rimane ancora una preponderante presenza dell’”io” (avaro) e non della “politica”.

Ma nella vita il migliorarsi non ha mai fine.
O no?
Severo Laleo

P.S.
Se si fa un governo (ottimo) che dura una legislatura, anche per il Paese 
è meglio (specie se Renzi collabora pienamente, magari offrendo il suo impegno 
per realizzare la “trasparenza” e la “riforma dei partiti”; altrimenti, 
quando e se correrà da Premier, troverà tutto come prima,  e la sua “novità” 
consisterà solo nell’essere il novello epigono del berlusconismo, per carità, 
esclusivamente per quanto riguarda abilità e metodi nel raccogliere il consenso 
elettorale. E non è un bene per la civilizzazione di un Paese.

domenica 17 marzo 2013

Laura Boldrini e il catalogo degli ultimi





A chi di voi è capitato di leggere il discorso della nostra Presidente della Camera, Laura Boldrini?
Nessun problema, niente di che, davvero; solo un elenco di robe mai considerate prima, almeno con così tanta attenzione e diretta partecipazione consapevole.

Infatti, dopo i ringraziamenti e i saluti di rito, parte  un asciutto catalogo degli ultimi:

·         chi ha più bisogno e chi ha perduto certezze e speranze  
·         i poveri
·         la generazione prigioniera di precarietà
·         le donne umiliate dalla violenza travestita da amore
·         chi  è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi
·         i detenuti in condizioni disumane
·         i disoccupati, gli inoccupati, gli esodati
·         gli imprenditori schiacciati dal peso della crisi
·         le vittime del terremoto e gli abitanti di territori abbandonati
·         i pensionati al minimo
·         i morti per mano mafiosa e per mano del terrorismo
·         i morti senza nome del mediterraneo
·         gli ultimi di tutte le periferie del mondo
         
In breve tutta la "sofferenza sociale".

Non credo esista, in altri discorsi di rito di insediamento
alla Presidenza delle Assemblee Nazionali dei Paesi dell’Europa, Svezia inclusa, 
un così asciutto catalogo degli ultimi.

Qualcosa è cambiato e può ancora cambiare,
se parteciperà al cambiamento, da protagonista, il M5S.

Il discorso di Laura Boldrini, la nostra Presidente della Camera,
a me, soprattutto dopo gli anni del berlusconismo,
così attento alla gente che riempie a frotte i migliori ristoranti,
è sembrato un discorso di asciutta rivoluzione.

O no?
Severo Laleo

Elogio del limite




Nella cultura di oggi prevale "il rifiuto del limite, del fatto che siamo
creature limitate e dipendiamo gli uni dagli altri.  Al contrario,
dovrebbe esserci l'elogio del limite, perché il limite,  fisico affettivo
intellettuale, ci spinge ad uscire da noi stessi, ci costringe ad ascoltarci,
a misurarci con la nostra non autosufficienza e ad imparare
ad entrare in comunicazione con altri, non come il nostro specchio
ma come il terminale di relazioni vere e virtuose, ci spinge
a chiedere umilmente aiuto e dare generosamente aiuto".

Sono parole del Presidente della Cei e arcivescovo di Genova,
cardinale Angelo Bagnasco.
Chissà se con Papa Francesco, dentro la Chiesa e fuori, si possa cominciare
a ragionare sulla modernità di porre un limite alla ricchezza
(è facile trovare la strada, se si vuole), e un limite alla povertà
(e qui è urgente intervenire subito).
O no?
Severo Laleo

Il maestro furioso e l’accorto discepolo


    

Ecco, in buona evidenza, nel giornale online ilfattoquotidiano.it,
questo titolo:

Senato, Grillo: nostro risultato aver fatto cambiare candidati a Bersani”.

Se ad esprimersi così è stato  Grillo, la sua constatazione non solo è legittima
e veritiera, è anche saggia. Ed apre la mente a un futuro  saggio.
E’ di un’evidenza solare: senza il successo elettorale del M5S,
perseguito da Grillo con grande passione e fatica, il risultato di oggi,
di tangibile cambiamento, alla Camera e al Senato, difficilmente
si sarebbe concretizzato.
La semplice presenza del M5S, in quantità utile a rompere i soliti giochini
di sempre, ha spinto il PD, già costretto a capire il messaggio del popolo elettore,
a presentare per le Presidenze una giovane candidata e un candidato maturo
fuori dalle logiche, pur legittime, di personali carriere politiche dentro il partito.
Ad averne guadagnato è stato il Paese, insieme alle istituzioni e alla democrazia.
Grillo, questo è il suo merito, ha liberato energie pulite, nuove davvero,
nel Paese, energie libere, di opposizione al sistema, ma con il dovere,
questa volta istituzionale, di costruire un nuovo sistema.
Il dovere non è solo verso gli elettori del M5S, ma anche verso il Paese intero.

Quale sarà questo sistema? Questo il punto per il futuro (quando Grillo lancia
l’idea di voler raggiungere il 100% dell’elettorato per il cambiamento definitivo,
sa di usare il suo paradossale linguaggio, e solo  i conservatori o i non riflessivi
possono credergli!).  Grillo dovrà presto rispondere anche a una domanda
sul suo personale impegno politico per il futuro: se a liberare energie ha avuto
ragione ed è stato all’altezza del compito, ed è stato premiato, quale ruolo 
si riserverà nel partecipare al buon uso di tanta liberata energia nuova? 
Un conto è un non-statuto per “rompere”, un conto è una riforma per “cambiare”.
Oggi il M5S ha il potere di incidere fortemente nel cambiamento.

E perché? Perché se Grillo ha saputo dare, con la sua furia, una lezione al Paese,
il discepolo più accorto ad apprendere la sua lezione è stato proprio il discepolo
più pronto e ricettivo, oggi presente in Italia, il PD di Bersani.

Nell’esperienza didattica perfetta, quando tra maestro e discepolo si stabilisce
una relazione di intenso scambio nella comprensione, allora  avviene il miracolo
della creazione di nuovo sapere.
O no?
Severo Laleo

P.S. Mentre scrivo, leggo la notizia, su Rai News 24, di un Grillo determinato
nell’ invitare i senatori “traditori”  a dimettersi: ha avuto breve durata
la sua saggia constatazione di cui sopra. Come non detto.

giovedì 14 marzo 2013

L’ossessione antica e il cambiamento nuovo dal basso




Questa la notizia in Repubblica.it: Spiegel attacca Grillo:
"Antidemocratico, è l'uomo più pericoloso d'Europa".  (Amen!)
"E' come Mussolini e trae energie dall'odio contro i politici e contro i tedeschi".
(E ci mancava, dopo Hitler, anche il duce!)

Questi giudizi senza storia  nascono solo da un’ossessione.
L’ossessione, d’origine antidemocratica, di far dipendere i destini
di una comunità nazionale da una persona, da un leader,
da un “signore” incontestabile e inamovibile.
E quest’ossessione, in Italia, è anche più diffusa, e grave,
perché per vent’anni il sistema politico è stato schiacciato
da una parte dalla presenza ingombrante dell’uomo Berlusconi
e del suo stile (si fa per dire!) padronale, maschilista,
a danarismo avvilente; dall’altra dall’assenza, a sinistra e al centro,
per fortuna non definitiva, di una cultura liberale di opposizione,
a difesa dei fondamentali della Costituzione.

E’ vero, siamo un paese a democrazia fragile, per difetto culturale
(non abbiamo mai ricevuto un’educazione liberale), e per disposizione
familistica nei confronti del moderno Stato.
Ma che ora, dopo aver conosciuto il berlusconismo e i suoi derivati,
il bossismo, il dipietrismo, e via di seguito con gli altri ..ismi
dei tanti leader e leaderini, tutti, a gara, impegnati a limitare
la democrazia e la libertà delle persone attraverso l’asservimento
continuo e gli scambi di potere, con l’aggravante di aver rispolverato,
per l’occasione, la categoria del merito (un disastro di sofferenza
per le nuove generazioni), si debba continuare a gridare la paura
per il totalitarismo grillino, è insopportabile. Suvvia!

In un paese così devastato, in termini di riduzione della democrazia,
Grillo appare ed è il “liberatore” di tantissime energie giovani.
Comunque vadano i tentativi di “governo”. Grillo ha un suo linguaggio paradossale, ha un suo stile, inconfondibile, ma il risultato del suo operare
nel sistema politico non è (stato) l’asservimento, ma la liberazione.

Nei prossimi mesi la sfida è tra la possibilità nuova, reale
di un cambiamento dell’agire politico del sistema Paese,
e un ritorno, sotto altre spoglie, di un nuovo leaderismo giovane
e acritico, ancora una volta da tifo (calcistico).

A Bersani, quale premier in pectore, il compito, per responsabilità
istituzionale, di rinnovare, da antileader forte (è il solo), la nostra
democrazia, con il suo ascolto dialogante, paziente, resistente, umile,
intelligente con le/i parlamentari del M5S, perché il cambiamento
possa finalmente costruirsi dal basso, grazie anche al Grillo suscitatore;
con il fallimento del tentativo Bersani fallisce il cambiamento
dal basso, capolavoro di Grillo, e verranno forse altri leader,
epigoni comunque del berlusconismo, sia pure con il volto giovane,
pronti a decidere dall’alto con i vecchi di sempre le illusioni
del cambiamento.

O no?
Severo Laleo

mercoledì 13 marzo 2013

Per colpire Napolitano basta non leggere i suoi comunicati




Leggo, tra i commenti a un articolo di Alessandro De Angelis su L'Huffington Post,
questa dichiarazione di Marco Furfaro, di SEL:

“Questo paese sta andando a sbattere, è chiaro. Perché se il Presidente 
della Repubblica non ha il coraggio di dire che la legge è uguale per tutti, 
dall'uomo più potente d'Italia all'ultimo dei cittadini, l'emergenza democratica 
è sancita da colui che dovrebbe essere il garante della democrazia.

Un Presidente della Repubblica che aggiunge un "però" non è un buon 
presidente. Puoi arrivare primo alle elezioni, ma se hai violato la legge 
ti sottoponi alla magistratura. Così è e così deve essere. Si faccia un giro 
tra le carceri Napolitano, guardi negli occhi quanti poveracci ci sono. 
Sono quelli che vanno difesi e reintrodotti nella società e nella vita politica. 
Non Silvio Berlusconi.

Pur elettore di Sel, non sono d’accordo. A mio avviso, la discussione è mal posta. 
Molto mal posta. Ed è influenzata dall’interessato tam tam berlusconiano  
della “vittoria”. Non è così. Esprimere un giudizio istintivo, non politico,
sulle qualità (coraggio/paura) di Napolitano, senza al contrario ricavare,
dalla lettura dei suoi comunicati (unici ad avere valenza politica), le novità
davvero nuove e rilevanti per la nostra democrazia, significa arretrare,
di fronte alla destra, sul piano della difesa della democrazia.
A destra vogliono lo scontro della sinistra contro il Presidente di “sinistra”.
E già sono partite le bordate contro “qualsiasi”  altro Presidente di sinistra
in futuro. Infine, spostare l’attenzione su un Napolitano non attento a difendere
i “poveracci”, per affermare una tesi senza riscontro documentale, 
è operazione retorica e basta.

E vengo ai comunicati.
Nel primo comunicato. Napolitano ribadisce alla delegazione PDL 
(mai delegazione di partito ebbe, per le storie delle singole personalità, 
profilo tanto inaffidabile in tema di giustizia!) che “non può interferire
nell'esercizio del potere giudiziario” e che nessuno gli può chiedere  
impropri interventi in materia”; e aggiunge il suo “rammarico, 
in particolare, per quanto è accaduto ieri … sfociato in una manifestazione 
politica senza precedenti all'interno del palazzo di giustizia di Milano”; e si riserva 
di sviluppare più ampiamente in un prossimo intervento le sue valutazioni”, 
quasi a dire: la vicenda non si chiude qui e ora.
Nel secondo comunicato. Napolitano ribadisce che  “il più severo controllo 
di legalità [è] un imperativo assoluto per la salute della Repubblica da cui 
nessuno può considerarsi esonerato in virtù ell'investitura popolare ricevuta”; 
auspica che si evitino “nei limiti del possibile, interferenze tra vicende processuali
e vicende politiche”; ma liquida definitivamente, secondo una perfetta lettura 
costituzionale (e democratica), il più formidabile cavallo di battaglia di Berlusconi, 
con queste parole: “Non è da prendersi nemmeno in considerazione 
l'aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco - 
"per via giudiziaria" come con inammissibile sospetto si tende ad affermare - 
uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare nazionale”; 
e nell'invitare tutte le parti a “freddezza ed equilibrio” rivolge il suo appello 
soprattutto alle parti “politiche, titolari di grandi responsabilità 
nell'ordinamento democratico”.

Un buon Presidente, se è stato combattente e partigiano, sa smettere questi panni
quando diventa arbitro. E tanto più deve essere attento nell'arbitrare quanto 
più aspro è diventato il finale scontro.  
Per quanto mi riguarda attendo fiducioso il suo prossimo intervento.
Il Paese non va a sbattere, ma se noi ci lasciamo trascinare nel caos
istituzionale da un manovratore senza scrupoli, il pericolo esiste.

O no?
Severo Laleo

P.S. Eppure, in questa situazione di scontro così pericoloso, e forse ultimativo,
per il futuro del Paese, c’è chi (Renzi e non solo), all’interno della coalizione 
moralmente e politicamente obbligata a trovare una soluzione, dà la sua mano, 
scaldando i muscoli a bordo campo, indifferente sulla questione fondamentale 
dell’agibilità democratica, pronto a rientrare in una partita prossima ventura
(questo purtroppo è il linguaggio oggi affascinante e dominante!).
Evidentemente la fase della saggezza politica -un dovere quando si tratta
di salvare le istituzioni  della Repubblica- è svanita nei richiami di ultrà
d’ogni specie e parte.