martedì 30 dicembre 2014

Il nuovo cuore dell’Europa e le nuove sfide



I giornali riportano oggi –sul finire dell’anno- brani di discorsi
di scambio di saluti tra il Premier d’Italia e il Premier d’Albania.
Entrambi i discorsi meritano spezzoni di citazione.
A futura memoria.

Il primo, l’italiano, dichiara, anche a nome del suo collega: 
"Vogliamo cambiare i nostri paesi e far sì che siano sempre più capaci
di costruire l'ideale europeo … l'Albania è già in Europa: si tratta
di allargare le porte della grande casa europea, perché è giusto e utile.
Siamo molto felici per lo status di candidato dell'Albania, ora bisogna 
correre e far sì che i negoziati siano veloci. Abbiamo deciso di concludere
a Tirana il semestre europeo perché c'è un pezzo di futuro dell'Europa
che verrà e anche di Europa che c'è stata ….Quando qualcuno mette
in discussione l'ingresso dell'Albania e di altri Paesi dei Balcani nell'Ue 
sta sbagliando tutto perché abbiamo bisogno che quest'area non sia solo 
parte, ma sia il cuore dell'Ue, di fronte alle sfide che ci attendono … 
un’Europa come casa della speranza e non solo di vincoli, un luogo
in cui ritrovare il sogno europeo. Che l’Europa sia di casa tra i cittadini, 
non più solo luogo della burocrazia. C’è tanta voglia di un futuro insieme”. 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, rapido. E tocca il cuore.

Il secondo, l’albanese, amichevole e concreto, quasi a riempire
di contenuti l’”ideale europeo”, pronto a illustrare “un pezzo di futuro 
dell'Europa che verrà”, anzi il “suo cuore”, deciso a implementare 
il “sogno europeo” e la “voglia di futuro”, tra il sornione e il dritto, 
chiarisce e, a suo agio con l'ironia, puntualizza: "Non vorrei mettere in difficoltà 
Matteo dicendo agli imprenditori venite in Albania perché non ci sono 
i sindacati o venite in Albania perché le tasse sono al 15 per cento
Non voglio mettere in difficoltà il mio amico, dicendo di venire qui 
perché i sindacati ci sono in Italia ma non in Albania". 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, con ritmo. E tocca i soldi.
Il primo è un socialista italiano. Gioioso.
Il secondo è un socialista albanese. Allegro.
Insieme sono socialisti in Europa. E “scherzano” insieme. Tra "amici".

Forse un cambiamento serio verrà nell’Occidente, in Europa,
di nuovo dalla Grecia. Il 25 Gennaio.

O no?

Severo Laleo

domenica 28 dicembre 2014

Sinistra Ecologia e Libertà inventa Human Factor: ma perché?



Ma perché Human Factor? Perché SEL, partito di sinistra,
dove sinistra dovrebbe stare, insieme, sia per solidarietà/empatia
nei confronti dei più deboli, sia per realizzazione di programmi
di governo utili ad alleviare i problemi dei più deboli, perché, dunque, 
un partito di sinistra, una sinistra del genere, SEL
deve scrivere un suo nuovo capitolo di futura unità politica
sotto un titolo così privo di chiarezza nella descrizione
della sofferenza degli ultimi?
Human Factor! Qual è la ragione di un parlare così astratto,
così lontano dai bisogni delle persone, così dentro la logica
del “leopoldismo”, almeno per la sensibilità non di pochi?

Al contrario, perché non proviamo noi a tradurre la nostra attenzione, 
pensata e praticata per la “persona” nella sua singolarità 
e nelle sue formazioni sociali, in un titolo più comprensibile
e più “sentito” per tutti? Perché non scriviamo noi una nuova 
pagina di “rivoluzione copernicana”, contro quella di questo Governo 
che scaccia verso l’esterno i “diritti di pari dignità” e pone al “centro” 
la subdola “violenza” del successo del libero imprendere* 
(soprattutto da noi in Italia)? Magari obbligando
tutti i nostri interlocutori, a ogni livello, a porre al “centro
di ogni progetto, di ogni riforma, di ogni interesse, di ogni provvedimento, 
non le “regole nuove -anzi antiche- dell’economia”, ma la “persona” 
nella sua interezza con tutte le sue esigenze
e le sue prerogative, innanzitutto la sua libertà, la sua dignità,
la sua uguaglianza, almeno nei fatti essenziali,  con ogni altra persona, 
in una parola il suo diritto al benessere, cioè a “star bene” con sé e con gli altri, 
attraverso il possesso minimo di “risorse materiali personali” 
e attraverso la possibilità, garantita dalla società, di esercitare 
tutti i suoi diritti alla pari con ogni altra persona?
Eppure basterebbe aprire un fronte politico a tempo indeterminato 
per giungere a fissare un limite alla ricchezza e un limite
alla povertà anche attraverso un sistema fiscale equo,
al servizio del benessere delle persone.
Trasformiamo dunque questo Human Factor in un più “sentito”:
Una politica per le persone”, o parole di più intensa
e semplice sincerità politica.

O no?
Severo Laleo

 *Denuncia Todorov: “La nostra democrazia liberale ha lasciato che l’economia
non dipenda da alcun potere, che sia diretta solo dalle leggi del mercato, senza alcuna 
restrizione delle azioni degli individui e per questo la comunità soffre. L’economia
è diventata indipendente e ribelle a qualsiasi potere politico, e la libertà che acquisiscono
i più potenti è diventata la mancanza di libertà dei meno potenti. Il bene comune 
non è più difeso né tutelato, né se ne pretende il livello minimo indispensabile 
per la comunità. E la volpe libera nel pollaio priva della libertà le galline”.

lunedì 22 dicembre 2014

Una sovranità conviviale per un’opposizione intransigente



Grazie all’originale e sempre interessante rassegna stampa
Cogito, ergo sum - idee e riflessioni contemporaneea cura
della Fondazione Roberto Franceschi, ogni domenica
si ha la possibilità di leggere su svariati campi
del nostro vivere quotidiano più articoli utili a tener vivo
il pensiero e libera l’azione.
Questa volta attira l’attenzione un intervento in campo politico
di Luciano GallinoUno Tsipras per l’Italia” uscito il 16 scorso
su “la Repubblica”.
Scrive Gallino: “Tra coloro che hanno partecipato alle dimostrazioni
per lo sciopero di venerdì 12 dicembre si contano forse numerosi elettori
potenziali per lo sviluppo di una nuova ampia formazione politica,
in grado di opporsi alle catastrofiche politiche di austerità imposte
da Bruxelles e supinamente applicate dal nostro governo. Non si tratta
di fare un esercizio astratto sul futuro del nostro sistema politico.
Se una simile forza di opposizione non si sviluppa, quello che ci attende
è un ulteriore degrado dell’economia e del tessuto sociale, seguito da rivolte 
popolari dagli esiti imprevedibili. Il governo è seduto su un vulcano,
e intanto gioca a far “riforme” che peggiorano la situazione”.
E, per la realizzazione di un fronte di opposizione severa
e convincente all’ottusa austerità dell’Europa, invita
a osservare/seguire i movimenti di opposizione politica
nati, e cresciuti rapidamente, sia pure con modalità differenti,
in Grecia e in Spagna, Syriza e Podemos, i cui programmi
appaiono essere più solidamente social-democratici, concreti 
e adeguati alla situazione attuale della Ue e alle sue cause di quanto 
qualsiasi altro partito europeo abbia finora saputo esprimere”. 
E si chiede: “Al lume delle esperienze di Syriza e Podemos, come
si presenta la situazione italiana? Sulle prime si potrebbe pensare
che quanto rimane di Sel, di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, 
insieme con qualche transfuga del Pd, potrebbe dar origine a una coalizione 
simile a quella di Syriza. Purtroppo la storia della nostra sinistra è costellata
da una tal dose di litigiosità, e da un inesausto desiderio di procedere 
comunque a una scissione anche quando si è rimasti in quattro,
da non fare bene sperare sul vigore e la durata della nuova formazione.
Si può solo sperare che la drammaticità della situazione spinga in futuro
a comportamenti meno miopi, ma per farlo bisogna davvero credere 
nell’impossibile. E, alquanto scettico, quasi riducendo il discorso
a una questione di leader, conclude: In ogni caso
non si vede, al momento, da dove potrebbe arrivare la figura di un leader 
simile a Tsipras o a Turrión, colto, agguerrito sui temi europei, capace
di farsi capire e convincere, esponendo al pubblico in modo accessibile
dei temi complessi”.

Indubbiamente il “leader” (sia singolo/monocratico sia duale,
in coppia, un uomo e una donna -è solo un auspicio per il futuro!-)
ha sempre una sua funzione da svolgere, anche di facilitatore
di comprensione di “temi complessi”, ma per un’opposizione intransigente, 
e nuova, e di sinistra, e socialdemocratica, non può essere 
più l’abile “comunicatore/decisore” da spendere nel mercato 
del voto per conquistare/rastrellare consensi grazie soprattutto
ai “suoi”, del leader,  modi/carattere/linguaggio/cultura.
Un leader carismatico non è bastante, per opporsi, a dovere,
al fine di un cambiamento di regole e azioni in Europa,
senza il coinvolgimento diretto e partecipe e sofferente
di una comunità viva di “persone alla pari” in empatia.
Al contrario, il leader carismatico è solo l’ultima opportunità
per il neoriformismo di restaurazione di imporre dall’alto,
a scapito del dibattito democratico diffuso, le sue scelte
contro i diritti delle persone.
Se una speranza s’apre per un’opposizione forte, capace
di indicare le vie per il miglioramento delle condizioni
economiche di tutti, definendo i limiti per una sostenibile diseguaglianza
non è per l’apparizione di un leader,
ma è grazie alla diffusione, nella Grecia della crisi
e della miseria, di nuove comunità di solidarietà;
ed è grazie alla diffusione, nella Spagna degli indignados,
dei circoli di Podemos dove si sperimenta dal vivo
la pratica del protagonismo popolare, in contrasto netto
con altri luoghi della politica italiana dove prevale
il continuo scontro tra rari elettori al seguito di un “capo”.

Gli indignados e i syriziani non sono dei “seguaci
di un leader, sono persone autoliberatesi, per la durezza della crisi, 
dai giochi della “casta politica” e hanno voglia e forza, 
con una partecipazione in piena trasparenza, di trasformare la semplice 
sovranità elettorale di un voto rituale per un leader,
(un voto spesso non “uguale”: la corsa infatti verso sistemi elettorali 
extramaggioritari per la riduzione degli spazi della democrazia
è il progetto più pericoloso del neoriformismo di restaurazione),
in una più radicata, paritaria, senza condizionamenti economici, 
sovranità conviviale. Che è la vera modalità della democrazia.
Ora anche in Italia, leader o non leader, per fortuna sono tantissime 
le persone autoliberatesi,  siatra coloro che hanno partecipato 
alle dimostrazioni per lo sciopero di venerdì 12 dicembre” sia tra coloro
che non hanno partecipato al voto in Emilia e Calabria, e hanno tanta 
voglia di fare democrazia, cioè di esercitare, insieme,
“ la capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti”.

O no?

Severo Laleo

venerdì 12 dicembre 2014

Il buio etico, l’antipolitica pedagogica e il partito nuovo





Una cooperativa, benemerita per il reinserimento dei carcerati,
figlia di un’idea di civiltà, diventa, al contrario -così si scrive-, luogo di incroci 
d’affari mafiosi, senza limiti. Con danno drammatico per i più deboli.
Una classe dirigente, di destra, centro e sinistra, selezionata
-si fa per dire!- per la buona amministrazione, al contrario partecipa -pare-, 
senza senso del limite e del pudore, a suo modo, direttamente e indirettamente, 
al malaffare di sistema mafioso. Con danno drammatico per la democrazia.
Una macchina burocratica, addetta, in più settori dell’amministrazione, 
anche tramite persone insospettabili, al controllo di legalità, 
al contrario facilita, al di là del colore del sindaco,
l’organizzazione mafiaffaristica per godere -a sentire le intercettazioni- 
di stipendi aggiuntivi. Senza limiti e senza l’onor di carica.
Con danno drammatico per la credibilità del Pubblico.
Un partito di governo, a livello locale e non, guidato
da un “nuovo” segretario, impegnato a cambiare
i metodi di gestione di sempre, al contrario continua,
senza limiti -si può dire-, a praticare o a non capire/denunciare
il malaffare e a chiedere pulizia sempre con ritardo
e solo a seguito di inchiesta della magistratura.
Con danno drammatico per la partecipazione alla vita di partito.
La confusione è grande. Ma diventa incomprensibile
quando il Premier, seminatore nuovo di ottimismo non ragionato, 
secondo un’antica e colpevole retorica, per una volta s’intristisce, 
s’adira e annuncia nuove pene e nuove misure di repressione
per i corrotti -si attendono, si spera, rapidi decreti d'urgenza-, 
mentre proprio quei corrotti, al contrario, cenano,
senza timori, al suo desco di partito con mille euro a sedia. 
Con drammatico danno per l’idea di una democrazia alla portata 
di un onesto lavoratore. 
Un danno comunque già perpetrato a suo tempo
contro l’onestà comune, quando non ebbe alcuna difficoltà
a incontrare, per delineare i destini istituzionali del Paese
-almeno questa è versione a nostro uso-, un condannato
per evasione fiscale, indegno di sedere in Senato.
Un drammatico esempio di schiaffo alla sensibilità
delle persone oneste. E un incoraggiamento per molti
a ritenere l’evasione fiscale un reato “tollerabile”.
E più incomprensibile è la confusione se il Presidente
della Repubblica, persona pur degnissima d’ogni rispetto, 
nell’attaccare l’antipolitica lascia, al contrario, nell’ombra 
l’arroganza spesso mafiosa della politica.
Con danno drammatico per le persone indifese,
alle quali altro non è concesso se non rifugiarsi, per disprezzo
del generale decadimento morale, nell’antipolitica.

Ora propria questa antipolitica non è un’antipolitica eversiva
per precisa scelta di rottura e di scardinamento istituzionale, 
ma solo un’antipolitica pedagogica per disperazione,
specie se nell’Emilia Romagna, regione di grande tradizione
democratica, la maggioranza grande della popolazione
si rifiuta di partecipare al voto. “Antipolitica è patologia eversiva”, 
quasi grida il nostro Presidente. E’ vero, in tempi normali, ma diventa oggi, 
in Italia, constatazione fuori contesto.
Anzi è una diagnosi senza anamnesi. Eppure l’anamnesi è nota
al Presidente Napolitano, perché già uomo del Pci.
L’antipolitica, praticata spesso dall’opposizione e, secondo
i comodi, anche da forze di governo,  è sì patologia eversiva
ma è l’esito di un virus eversivo, alimentato da quella diffusa contiguità 
tra politica e malaffare, da quell'uso personale/padronale del voto e dei partiti,
e da quella testarda non-soluzione della questione morale 
proprio nei termini definiti tanti anni fa,
ancora da una persona del Pci, mai dimenticata, E. Berlinguer.

Per uscirne non basta l’inasprimento delle regole processuali
e penali, ma serve il rispetto delle regole democratiche
dentro l’organizzazione politica del partito “nuovo”,
trasformando la subalterna sovranità elettorale,  
ricca solo di un voto a seguito di un leader padrone,
nella paritaria sovranità conviviale, libera di decidere
a seguito di dibattito democratico tra persone alla pari.
Un partito nuovo e una nuova società a sovranità conviviale,
oltre la vuota sovranità elettorale, non è più compatibile
con il mito del leader pigliatutto, e non è più compatibile
con una legge elettorale con premio di maggioranza
e con eletti nominati.
La Politica non è gioco, non è una partita di calcio,
non è un patto di potere, non è affari tra potenti,
non è una compravendita, non è una lotta di ambizioni
senza limiti. La Politica è l’etica agita nella vita pubblica (Crick),
e ha urgente bisogno di un “luogo reale”, fisico, dove regole
nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, un “luogo reale” dove la dirigenza sia scelta,
almeno per il 50%, per “sorteggio”, dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, 
non per graziosa concessione, ma per norma deliberata,
dove siano definiti tempi e rotazione degli incarichi,
dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio,
ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo maschilista di sempre al bicratismo di genere del futuro, 
a una forma duale di direzione, dove non sia l’”IO” a dominare, 
ma il “NOI” a cooperare), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica,
della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti.
Se i partiti e i movimenti sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del conoscersi/comprendersi, guardandosi negli occhi,
non potranno mai essere in grado di estendere la democrazia
e di costruire una “sovranità conviviale”.
In trasparenza piena e assoluta.
O no?

Severo Laleo

domenica 7 dicembre 2014

“Un bacio, grande capo” e la sottile lezione dai “senegalesi”




Credo non sbagli la Campana, anzi, ha tutte le ragioni del mondo
quando sostiene che “capo”  è epiteto diffuso e bonario.
Quasi affettuoso. E senza malizia. E’ una questione di costume.
Sì, un costume italiano. E solo in Italia è davvero molto diffuso.
Non c’è niente di male, appunto.
Io dico sempre così –si giustifica la Campana-  che c’entra?”
Gli italiani, si sa, sono un popolo di tanti piccoli “capi”,
spesso al servizio di un altro “grande capo”, sempre maschio,
qualunque colore vesta, qualunque ruolo svolga.
E’ una vecchia colpa, tragica, incorreggibile
solo attraverso la politica, perché ogni “capo”, anche se nuovo,
continua a vestire i panni del “capo” salvatore.

E il fatto è ben noto anche ai nostri “fratelli senegalesi”.
Invero, gli ambulanti di origine africana e non solo,
quando in strada si rivolgono al maschio italiano
per aprire un contatto di “vendita” di rapida mercanzia,
usano, tra il simpatico e l’adulatorio canzonante,
il termine "capo":  "Capo, un attimo solo, capo..."
"Grazie, grande capo!" "Ciao, capo!"
Chissà forse per ottenere più facilmente udienza, attenzione,
e buona disposizione d'animo. E forse perché tutti i “senegalesi”,
qualunque sia la terra d’origine,
hanno ben capito il vizio d’animo di noi italiani,
e hanno intuito la nostra aspirazione a diventare/essere “capi
così, a furia di dire “capo, capo”, solleticano il nostro infantilismo.
E giocano con noi, sorridenti, ma senza farsi “schiavi”.
Mai. E per fortuna di tutti.

Ma il popolo italiano è per la gran parte ancora un popolo di “capi”,
è ancora un popolo non abituato a confrontarsi alla pari con gli altri,
nel rispetto di regole civili, trasparenti e uguali per tutti,
e per questo, quando non ha/afferra il comando del capo,
spesso arretra per viltà a schiavo.
E di fronte a un altro “capo” ha sempre paura di perdere,
e per non perdere, in silenzio e complice,
 acquatta a rate la sua intelligenza al potere del “grande capo”.
E chiede/accoglie benevolmente i suoi “favori”, chiudendo un occhio,
se non entrambi. “Familismo amorale” e “danarismo avvilente”.

E’ anche un comportamento figlio del metodo del “ghe pensi mi”,
in Italia sempre all’opera, arrogante, veloce, senza lacci e laccioli.
In una parola italiana, un comportamento mafioso.

Forse quando in Italia crescerà la cultura liberale, a destra e a sinistra, 
e risolta sarà per regole e abiti la questione morale,
nessun “senegalese” dirà più per strada “grande capo”.
E nessuna “campana” suonerà più baci per il suo “capo”.
E sarà il giorno della democrazia tra persone libere, alla pari,
senza gore di mafia.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 3 dicembre 2014

Gruber, Cassese e il governo duale



L’altra sera a Otto e Mezzo l’ospite d’onore, il giurista irpino Sabino Cassese
giudice emerito della Corte costituzionale, chiacchierato quale possibile 
Presidente della Repubblica, nelle risposte alle domande, anche puntuali, 
della Gruber ha voluto tenere un atteggiamento benevolo, quasi ecumenico,
nei confronti del Governo e, in qualche passaggio, è sembrato persino 
carezzevole nei confronti del Presidente Renzi.
Per fortuna una corretta Lina Palmerini, osservatrice attenta
del Sole 24, con severo garbo, è riuscita spesso a riportare
il discorso politico dal gioco delle relazioni alle pieghe incrostate
di una difficile realtà.

E a proposito della capacità di innovare del Presidente Renzi,
il giurista Cassese ha voluto ricordare la novità della nomina
nel Governo di un numero di ministre pari al numero dei ministri.
Per l’Italia, certo, una novità.
E la scelta era rimarcata dal fine giurista Cassese con un sorriso
bonario, quasi a conferma del segno inconfutabile del grande cambiamento; 
e l’ottima Gruber, colpita nel suo campo, ha subito espresso la sua condivisione.

Eppure in tanto entusiasmo qualcosa non funziona.
Sia il fine giurista sia l’ottima Gruber, espresso concorde l’apprezzamento, 
di malcelato elogio l’uno, di partecipazione
di genere l’altro, restano prigionieri di un’antica e “naturale
visione del monocratismo, esito storico del maschilismo,
in quanto legano la formazione di un governo con pari numero
di ministre e ministri non a una necessità/obbligo di civiltà politica
ma alla solitaria scelta/decisione/concessione
del potere monocratico –in Italia sempre e solo maschile-
del Presidente del Consiglio, e soddisfatti non riescono
a guardare avanti. Oltre.
La formazione di un governo di uomini e donne in pari numero 
non può essere lasciata in un paese moderno, civile, avanzato,
a un qualsiasi presidente di turno, ma deve essere stabilito
per legge, senza possibilità di scelte discrezionali.
Di più, guardando avanti, se la stessa Presidenza del Consiglio 
fosse organo non più monocratico, ma duale, bicratico,
di coppia uomo/donna, i cambiamenti e in termini di educazione
alla parità, con quel che ne consegue, e in termini di un più maturo confronto 
politico (con una mitigazione del narcisismo a volte esasperato dei leader), 
e, infine, in termini di pienezza umana sia nella comprensione dei bisogni 
sia nella realizzazione delle decisioni, sarebbero facilmente intuibili 
e comunque auspicabili. Altrimenti il “vecchio” continua a resistere
anche quando si prendono decisioni nuove.

O no?

Severo Laleo