sabato 30 aprile 2016

Se si praticasse l’arte di riconoscere e distinguere i limiti … almeno a sinistra



Scrive Bodei nel suo agile e godibile “Limite”, uscito di recente
nella collana “Parole controtempo” (e oggi non c’è parola controtempo 
più forte di limite) della Società Editrice il Mulino:
L’attitudine a riconoscere e distinguere i limiti è … un’arte
che va coltivata e praticata con cura, lasciandosi guidare, 
nello stesso tempo, dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni,
da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità.”
Si tratta di un monito, anche se da gestire con prudenza,
spuntante quasi improvviso, tra le pagine di un’analisi storica
e culturale dell’idea di limite lungo le quali il filosofo osserva, spiega
e non prende posizione tra la cultura classica
del “Niente di troppo”, a leggere l’iscrizione sul muro esterno
del tempio di Apollo a Delfi, e la cultura della modernità
del “Multi pertransibunt et augebitur scientia” 
(chi oltrepassa i limiti, accresce il sapere), a leggere Francesco Bacone.
Anzi scrive: “… la domanda ‘dove si trova, se si trova, la linea
di demarcazione il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito?’
è destinata a non avere risposta convincente e univoca”.
Per fortuna, però, il suo appello a praticare con cura
l’arte di riconoscere e distinguere il limite è forte
e sincero. Ed è un invito a stare attenti, a riflettere,
perché “il frequente superamento dei limiti sembra risvegliare
in molti sogni di onnipotenza”.
E apre a un’etica da difendere “dalle prevaricazioni,
dagli abusi e dal caos”.
Non si può non essere d’accordo con Bodei:
chiedersi sempre, nell'era della dismisura, fin dove
si può arrivare, anche nei rapporti tra le persone,
interrogarsi con metodo per riconoscere il limite,
saper distinguere con responsabilità il valore del limite,
valutare con vigile responsabilità volta per volta
se andare oltre il limite, e il pensiero corre al nostro pianeta,
è davvero “un’arte che va coltivata e praticata con cura”.
E forse per produrre una cultura del limite, con una
declinazione a sinistra, perché sia possibile interrogarsi, 
ad esempio, se sia un obbligo di civiltà, politico e giuridico,
se si vuole rispettare l’art. 1 della Dichiarazione dei Diritti Umani
definire un limite alla ricchezza, e un limite alla povertà,
un limite allo sfruttamento della natura, e un limite all'uso
delle risorse energetiche, un limite alla violenza, di guerra e non,
e un limite alla libertà dei singoli, e un limite a …

O no?

Severo Laleo

domenica 24 aprile 2016

25 Aprile: l’umanità di nuovo in cammino di civilizzazione

Il 25 Aprile ha già la sua storia consolidata. Per fortuna.
Si possono solo aggiungere capitoli di dimenticati/oscuri/ignoti 
episodi. Non altro. Anche se aperte restano le vie della riflessione.

Il 25 Aprile è una data limite: segna il passaggio dalla caduta
della coscienza di umanità nei “volontari carnefici del nazifascismo”,
al rialzarsi della speranza in un mondo migliore
nelle/i “partigiane/i della Resistenza”.

Gli orrori della guerra e della morte, ora nei campi di sterminio
ora nel fungo dell’atomica, derivano da un modo di “pensare” terribile, 
violento, per il quale “tutto è possibile/lecito” per raggiungere 
un obiettivo di dominio/vittoria, per il quale ogni azione è sempre 
realizzabile in assenza di un limite meditato/riconosciuto 
da non valicare. E senza limiti definiti e interiorizzati, 
il potere dell’oltraggio è infinito.

A stabilire un limite invalicabile al dominio degli uomini,
dopo la guerra degli orrori, è intervenuta, nel 1948, 
la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
L’art. 1 afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza
e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Il 25 Aprile, dunque, è la restituzione a ogni persona di dignità e diritti
(con l'auspicio di un agire conseguente nei confronti di ogni persona).
Eppure, si sa, il cammino per una universale condivisione 
di questo principio è ancora lungo e difficile, specie oggi in tempi
di terrorismo e muri; ma guai a tornare indietro.

Il 25 Aprile, quest’anno, nel suo significato di ripresa
di un percorso di civilizzazione, trova una conferma nelle parole
di Bjorn Ihler: “La nostra migliore arma contro il terrorismo 
–e si può aggiungere: contro ogni terrorismo- è l’umanità”.

O no?
Severo Laleo

giovedì 21 aprile 2016

Bjorn Ihler, la carcerazione disumana e la cultura del limite



Quando si affronta il tema dell’umanità della pena 
in relazione a delitti immensi, per eccellenza disumani, 
perché contro la vita di innocenti, specie se nel pieno della gioia di vivere,
la domanda da porsi, per tentare di, e continuare a, essere, 
quale società, al di qua della disumanità e all'interno di un processo 
continuo di civilizzazione, è: qual è il limite?

Il sistema giustizia della Norvegia, dopo aver condannato Breivik
responsabile di aver ucciso 77 persone –si apprende dai giornali-,  
a 21 anni di carcere (già circondando di un confine/limite la pena:
né condanna a morte, né condanna all'ergastolo), ha condannato 
anche lo Stato per il fatto di avere inflitto a Breivik
anni di prigionia “disumana”, oltre il limite.

La reazione diffusa nel mondo è stata di sconcerto. 
A seguire il “buon senso” di sempre, pare davvero un giudizio 
di una mitezza eccessiva, questo sì oltre misura, oltre il limite, 
soprattutto in relazione alla gravità del reato.

Ma Bjorn Ihler, scampato alla violenta, crudele, disumana scarica di spari 
di Breivik, dichiara: “Che il tribunale abbia dato ragione
a Breivik è il segno che il nostro sistema giudiziario funziona
e rispetta i diritti umani anche nei casi estremi … La nostra migliore 
arma contro il terrorismo è l'umanità. Il verdetto dimostra 
che noi riconosciamo l'umanità anche degli estremisti”.

Breivik, secondo la speranza attiva di Bjorn Ihler, non è un terrorista 
mai pentito”; semmai è un terrorista “non ancora pentito”; 
Bjorn intende guardare avanti, confermando il suo impegno di lavoro 
(di sé scrive: I'm an activist working against violent extremism 
and terrorism and for peace and human rights internationally)
per l’affermazione/diffusione, anche futura, dell’”umanità” 
(nel senso di rispetto comunque della sua “dignità”).
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma:
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti... 
….Ad ogni individuo spettano tutti i diritti ...senza distinzione alcuna, 
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, 
di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, 
di ricchezza, di nascita o di altra condizione.” 
In una parola: sempre!

Bjorn Ihler, non negando, laicamente, umanità a nessuno, 
nemmeno a Breivik,  immagina che la meta del percorso di ogni sforzo 
per rispettare l’umanità in sé sia proprio la sconfitta del terrorismo.
E l’arma per tanta battaglia è praticare, anche attraverso gli atti, 
una irrinunciabile umanità

Quantunque il pensiero corra triste al dolore delle persone care
delle tante giovani vittime, quantunque riesca difficile accogliere,
in questo caso particolare, l’idea di tanta mitezza di Stato, 
forse questo giovane, scampato alla strage, questo Bjorn Ihler 
riesce a dare sostanza e senso a una sofferta 
eppur viva cultura del limiteil rispetto della persona umana in sé 
è per sempre e per tutti. 
In nome di un futuro sempre più umano.

O no?

Severo Laleo 


venerdì 15 aprile 2016

Referendum: Napolitano, Renzi e la maestra di scuola




 Il nostro Paese potrà dirsi serio, maturo, civile, responsabile,
almeno in Politica, quando, con mitezza, e perché no? gentilezza,
ogni sua/o cittadina/o, titolare di un dovere civico, riuscirà
a respingere, in piena autonomia, i discorsi ambigui e le invenzioni 
di propaganda di una classe dirigente, vecchia e nuova, presente 
oggi nelle istituzioni, ancora accomunata dall’idea antica
di una separazione netta nella società tra “chi è chiamato a decidere
(i decisori) e “chi è destinato a subire” (sudditi); specie quando,
di fronte a un referendum, pretende, quella classe dirigente,
a suo modo, maldestramente, senza argomenti di merito,
e comunque di civile dibattito, di giudicare l’iniziativa
di un voto referendario, a sentire l’ex Presidente della Repubblica, 
pretestuosa” e “inconsistente”(senza rispetto per le istituzioni,
le Regioni, e per i suoi Consiglieri, pur chiamati, per riforma, 
nonostante l’ agire “pretestuoso”, a sedere nel nuovo Senato!),
e, a sentire il Presidente del Consiglio, una “bufala”.
E un tanto elegante e nobile intervenire al solo fine di giustificare
il non voto. Non altro.
Entrambi, all’unisono, si collocano, così, per sostenere una causa,
fuori dal perimetro della Costituzione. Volontariamente.
In verità, se si ignora la propaganda bufala del Presidente
del Consiglio, è Napolitano a dare un vestito argomentativo,
da Renzi prontamente definito “magistrale”, al diritto
di non andare a votare in una tornata referendaria.
Dichiara Napolitano: ”L'astensione è un modo di esprimere
la convinzione dell'inconsistenza e della pretestuosità di questa
iniziativa referendaria Se la Costituzione prevede
che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto
è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi 
sull'inconsistenza dell'iniziativa referendaria".
E nell’interpretazione del Presidente del Consiglio,
il ragionamento diventa: se un referendum prevede il quorum
la posizione di chi si astiene è costituzionalmente legittima al pari
delle altre. Nel caso di un referendum con quorum sostenere le ragioni
di chi non vuole andare a votare ha la stessa identica dignità
di chi dice sì o no”.
In verità la Costituzione merita una lettura meno arzigogolata
e più serena. Anche nel rispetto dei tempi di ogni operazione.
La Costituzione non prende in considerazione, per l’espressione
del voto referendario, l’astensione (ogni referendum, di per sé,
è sempre degno di partecipazione), non prevede, quindi, l’astensione 
quale “modo di esprimersi”, ma valuta, correttamente,
a posteriori, la possibilità, per qualunque causa, di qualunque tipo,
di una non maggioritaria affluenza alle urne con la conseguente
non approvazione del quesito referendario.  
La Costituzione è chiarissima: “La proposta soggetta a referendum 
è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza 
degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti 
validamente espressi”.
Far scaturire da un risultato, ex post, un comportamento costituzionalmente 
legittimo, non previsto dalla Costituzione,
è operazione argomentativa ambigua.
Per fortuna a scuola la maestra, in una lezione di educazione civica,
semplicemente interpretando correttamente il suo ruolo,
in libertà e onestà, ha spiegato alle sue bambine e bambini,
future persone cittadine, che andare a votare significa non solo compiere 
un dovere civico, nel rispetto della Costituzione,
ma significa anche svolgere attivamente, con responsabilità,
il proprio ruolo di cittadina/o educata/o, anticipando, lucidamente, 
il pensiero del Presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi:
Partecipare al voto significa essere pienamente cittadini”.

Caro ex Presidente della Repubblica, caro pro tempore Presidente
del Consiglio, il vostro parlare, per caso da un alto pulpito,
è ambiguo, infido, non dovuto da parte di leali interpreti
della Costituzione; vero, al contrario, è il discorso di una maestra,
non per caso in un’aula di scuola, perché giunge correttamente
a salvare, tra i banchi, in lealtà istituzionale, la dignità
della persona cittadina.
Forse, ancora una volta, per incontrare semplicità, chiarezza, onestà 
intellettuale bisogna guardare in basso.
Tra i banchi liberi di una scuola.
O no?

Severo Laleo

giovedì 7 aprile 2016

La carne della differenza: l’ex ministra Guidi vittima ribelle malleabile del maschilismo



Al di là di un originale, non sempre felice, stile nel linguaggio,
l’ex Ministra Guidi sembra appartenere al novero delle persone  “perbene”, 
quantunque finisca per essere un vaso di terracotta, costretta …
Non si sa bene se diventa Ministra solo ed esclusivamente
per meriti suoi (in verità, le condizioni di partenza sono per Lei
molto favorevoli), certo  si trova ad essere inserita
in un ingranaggio al quale sembra essere, per un intimo, originario, 
sentire personale, estranea. Forse perché non riesce a liberarsi
del tutto della carne della differenza. Per fortuna.

Spesso (non sempre in verità, e il pensiero, ad esempio, corre
a Tina Anselmi) capita di vedere, nella presenze femminili
nei luoghi decisionali e nelle sedi del Potere, un pieno, totale schiacciamento, 
consapevole, accolto, non distratto dalla carne
della differenza, sul dinamismo competitivo, utilitario, famelico
di risultati e per questo, per cecità, a volte violento,
del Cerchio Maschio. L’ex Ministra Guidi, al confronto,
appare una lucida femminista, non per scelta, ma perché s’accorge, 
nel frastuono interessato intorno alla sua persona, a partire dall'analisi 
dei comportamenti del suo “compagno”, della mano manipolante 
del maschilismo imperante, e della sua diffusa cultura. In contrasto 
con questa cultura anche le lacrime non dominate
della responsabile della politica estera europea Mogherini mostrarono, 
in diretta,  la libertà di svelamento di una differenza di carne. 
Al di là di ogni sua scelta politica.

Proprio dal germogliar nuovo di questa differenza di carne,
troppo spesso compressa, nascosta, sacrificata, a volte per amore,
oppure totalmente annullata, cancellata nella sua esistenza,
da quel dire maschio “l’emendamento è mio…”, nascono i  giudizi severi 
di Guidi sul Cerchio Maschio, e severi perché non escono
da una dichiarata visione politica o etica (e sarebbe stato auspicabile), 
ma dalla carne della differenza.
Forse la vittima Guidi, sconfitta, potrebbe aprire la strada
a una seria riflessione per una reale, nuova politica
della libera soggettività femminile. Qualsivoglia, ma non più dipendente, 
condizionata, sofferta, compressa, deformata.

O no?
Severo Laleo


mercoledì 6 aprile 2016

A proposito di slogan: la lingua non ha padroni e le parole sono ribelli



Se il Premier, dinanzi ai membri del suo Partito, pronuncia,
secondo i resoconti di stampa, la frase:
se sbloccare le opere è un reato, io lo commetto
e nessuno sente il dovere di fermare il discorso e di chiedere oltre,
significa si è persa, alla grande, anche in quel che resta
di un grande Partito, la capacità culturale fondamentale
necessaria per giungere a meditate decisioni: la capacità di distinguere.
Il significato delle parole appartiene a chi parla,
solo se chi ascolta è imbambolato dall’emozione dei toni
e dei suoni. Dinanzi ai magistrati, pare abbia sostenuto
la Ministra Boschi, a conferma della linea del Segretario del suo Partito:
volevo solo sbloccare le opere”. S’immagina sempre a fin di bene,
per sviluppo, lavoro, ricchezza. A prescindere da ogni altra considerazione. 
Senza interrogarsi. Senza approfondire. Senza distinguere. Semplificando.
Povero Benedetto Croce, il liberale Croce, ha speso la sua vita di uomo
di lettere e filosofia a praticare e a insegnare a noi italiani/e  l’arte
della “critica”, del distinguere e si trova oggi ad ascoltare discorsi illiberali
(se l’io è la fonte del Potere) e slogan maligni.

Sbloccare le opere” è slogan troppo generico, costruito per colpire
gli ingenui e confondere le questioni; è slogan maligno, perché sposta 
l’attenzione, con sornione sorriso di intesa sarcastica, su quanti
si permettono di indagare, in cerca di reato, per “bloccare le opere”;
è slogan connotato di narcisismo, perché introduce, a imbroglio,
il coraggio di andare contro la Legge, da eroe, sempre a fin di bene 
naturalmente (purtroppo in un Paese a scarso senso civico diventa facile, 
anche per un’alta carica istituzionale, assumersi, disdicevolmente,
la responsabilità di commettere un reato, sia pure per gioco di parole).

Ora, sbloccare un’opera, si sa, non è di per sé reato, non c’è quindi
la benché minima necessità di mostrare il petto in fuori; non è mestier
di Governo ingarbugliare le parole, senza distinguere,
anche perché le parole son gelose del significato.
Il Governo ha il dovere, al contrario, esercitando l’arte del distinguere,
con l’attenzione vigile e la partecipazione corale di ogni istanza democratica, 
di valutare, con il pensiero esclusivamente rivolto
al benessere delle persone, i confini entro i quali un’opera è davvero 
sboccabile”, per l’interesse generale e non di gruppi.
Il problema non è snellire e semplificare. Altri, dei privati, saprebbero
far meglio del Governo, specie in Italia, se avessero mano libera.
Ma il dovere delle Istituzioni è governare la complessità
in trasparenza e responsabilità. A volte fissando paletti insormontabili.
E’ facile sbloccare e basta; basta un emendamento ad hoc; forse è più difficile, 
ma d’obbligo, saper guardare in profondità a tutte le conseguenze di ogni atto, 
esclusivamente, è bene ripetere, esclusivamente, nell'interesse
e a tutela del Bene Comune. 

O no?
Severo Laleo

lunedì 4 aprile 2016

Elogio (antico, rituale, irriflesso) del monocratismo. E il rifiuto (irriflesso, immotivato) del governo duale





Scrive Eugenio Scalfari nell’editoriale del 3 Aprile:
«Il tema della democrazia è stato più volte riproposto
da quando Renzi ha preso il potere nel 2013 come segretario 
del Pd prima e di presidente del Consiglio poi.
Da allora Renzi comanda da solo con il suo cerchio magico 
composto da suoi più fedeli collaboratori. Ho più volte criticato 
questa tendenza autoritaria, connessa anche
ad una riforma elettorale maggioritaria e ad una riforma 
costituzionale di trasformazione- abolizione del Senato. 
Fermo restando - per quanto mi riguarda - la più netta 
contrarietà a quelle due riforme (elettorale
e costituzionale) ho invece rivisto la mia contrarietà
al comando solitario. L'ho rivista per due ragioni: la prima 
riguarda l'estrema complessità dei problemi che oggi ogni 
governo deve fronteggiare nel proprio Paese, in Europa
e nel mondo.
La seconda sta nella constatazione che una società globale 
complica ancor più la complessità dei problemi
e la maggiore rapidità necessaria per risolverli.

Ma c'è una terza ragione: in tutto l'Occidente democratico 
esiste un Capo che comanda da solo: il cancelliere 
in Germania, il premier in Gran Bretagna,
il presidente della Repubblica in Francia, il presidente 
degli Stati Uniti d'America. Solo per ricordare gli esempi
di maggiore importanza. Questi esempi non configurano 
dittature: esistono contropoteri adeguati: i Parlamenti,
le Corti costituzionali, la Magistratura. Questi poteri ci sono 
e vanno comunque rafforzati. Entro questi limiti l'esistenza 
di un capo dell'Esecutivo che sia al timone non desta 
preoccupazioni».

Scalfari, quindi, dopo anni di riflessione e studi, scopre
la necessità, per la soluzione in complessità/rapidità
dei problemi, di avere “un capo che comanda da solo,
sia pure entro dati limiti”. Scopre, in una parola,
la necessità della continuità storica del monocratismo
al Potere (anche se “sunt … certi fines”).
Ma qual è l’origine del monocratismo? E’ forse un’origine 
animalesca? Un’origine esclusivamente causata
dal primordiale dominio del Maschio Alfa? Un’origine istintiva, 
naturale, fuori logos e civiltà?
L’organizzazione sociale del Potere pare comunque  
ancora riflettere quell’origine, sia pure con tutti i limiti raccolti 
dalla Storia lungo il suo percorso.
Il monocratismo sembra essere l’esito naturale
di una storia tutta al maschile, e insieme l’esito culturale
di un assoluto predominio del maschilismo, soprattutto
nelle istituzioni del Potere.  
Si può ancora sperare di risolvere la complessità
dei problemi con una struttura di Potere di tipo monocratico
con un’origine così marcata sul piano dei generi?
Non è auspicabile tentare di superare il monocratismo
con un Governo Duale? Un uomo e una donna
al Comando da soli?  Sempre of course entro definiti limiti.
Ognuno può liberamente immaginare la portata
delle conseguenze a cascata nei comportamenti sociali
e di relazione. E ogni persona, soprattutto se di cultura 
liberale e di sinistra, in quanto impegnata nel processo
di estensione della democrazia reale, non può lasciar cadere 
nel vuoto la riflessione nel merito.
Forse difendere il monocratismo,  proprio a partire 
dall’Occidente, non è il massimo.
O no?

Severo Laleo

domenica 3 aprile 2016

Il nottetempo per l'emendamento sacrosanto e il Tar per la trasparenza



Davvero strano il nostro Paese. Anche per l’uso della lingua,
specie quando è nelle mani della classe dirigente politica. Non da oggi.
Si sa, in politica, il dire non sempre corrisponde al fare, e spesso serve
a perpetuare il vecchio con le mentite spoglie del nuovo.
Il vecchio è vischioso, si sa, ma il nuovo già fatica a svincolarsi dalla pania.
Purtroppo niente cambia nella cultura politica di questo Paese.
Un Paese da sempre senza una profonda educazione comune liberale, 
(anzi in questo campo abbiamo toccato il fondo: 
a parlare di “Rivoluzione Liberale” è stato Berlusconi, che altro dire!), 
un Paese attento esclusivamente alla coltivazione del proprio orticello, 
pronto a chiudere un occhio o due, un Paese privo del senso 
del Bene Comune, con una cultura (si fa per dire) intrisa dappertutto 
di familismo amorale, e molto spesso di maschilismo da scettro 
del Comando, a volte sporcaccione.
In un Paese dall'inesistente senso civico*, facilmente le parole perdono 
significato. E tra il dire e il conseguente fare s'aprono falle.
Tuttavia, prima di entrare nel merito, s’impone una precisazione,
solo per non trovarsi senza merito nell'albo dei “gufi”:
il discorso per un caso tocca questo Governo, e non è di proposito
contra Renzim, al contrario si tratta di una riflessione generale,
valida oltre la situazione attuale. Valida, per principio, sia sul piano
dell’uso della lingua e della sua correttezza semantica, sia sul piano
della conseguente irreprensibilità di comportamento. In breve,
è solo colpa della cronaca se il discorso tocca Guidi, Renzi, Boschi;
e non è polemica del momento, ma discorso pedagogico
(si spera, con qualche presunzione).

1. L’emendamento sacrosanto.
Se la competente Ministra Guidi (è nel ramo industriale, si può dire,
dalla nascita), per aver, pare, concordato un emendamento sacrosanto
con la scrupolosa Boschi (attenta, per sua ammissione, a non subire
i condizionamenti dei “Poteri Forti”), e con l’appoggio pieno
del suo Premier (anzi, in confessione presso l'Annunziata, il Premier 
rivendica la paternità dell'emendamento), se la Ministra Guidi,
attenta, quindi, a seguire, per dovere d'ufficio, un sacrosanto emendamento,
è stata costretta alle dimissioni, solo per l'intercettazione
di una sua telefonata, innocente, in buona fede, 
di affettuosa premura, nell'anticipare il già noto,
al suo compagno, qualcosa non torna. 
Se l’emendamento è sacrosanto, se esiste l’accordo nel Governo,
se la volontà diretta del Premier è tutta nell'emendamento,
se la telefonata è tra conviventi (e non conniventi),
se non rivela segreti, se “sacrosanto”, a leggere il Dizionario Treccani,
vuol dire: “certissimo, giusto, ben fatto o ben detto, meritato”,
perché la Ministra Guidi è stata costretta alle dimissioni?
Per una telefonata intorno al sacrosanto emendamento?
Il sacrosanto è sacrosanto. Sempre. Eppure non giunge mai furtivo, nottetempo. 
O no?

2. La trasparenza
L’idea di aprire la Pubblica Amministrazione alla Trasparenza
è ormai vecchia di decenni. E, per giunta, è diventata, a ripetizione,
un ‘idea da sfruttare, comunque, da parte di più partiti,
in ogni campagna elettorale, per convincere cittadine/i sempre
più deluse/i, non a torto, dal ceto politico, a partecipare
e a schierarsi con il voto. E si crede, a buona ragione, sia diventato
un costume d’obbligo di ogni amministratore.
Eppure, anche in presenza di leggi da tempo approvate,
la Trasparenza tarda a mostrarsi proprio nella Pubblica Amministrazione
e nella Politica. Così l’idea semplice, civile, moderna,
naturale in democrazia, di aprire ogni atto della Pubblica Amministrazione
alla pubblica visione, diventa materia controversa. Addirittura da Tribunale.
E capita così, anche ad Amministrazioni di antica tradizione democratica,
è il caso di Firenze, di incartarsi opacamente proprio sull’idea
di Trasparenza. Ora, se la Trasparenza è insita, per legge e per cultura,
a ogni atto/documento della Pubblica Amministrazione,
perché tanta resistenza? Perché per avere la possibilità di vedere,
leggere, approvare, criticare gli scontrini delle spese di Renzi sindaco
(la cronaca tocca ora Renzi, ma il discorso è per tutti, sempre)
è stato necessario l’intervento del Tar?
La Trasparenza è trasparenza e non ha bisogno di sentenze del Tar**.
O no?
Severo Laleo

*Scrive Pasquino il 24 Marzo nel suo Blog “Qualcosacheso
A mio modo di vedere, la scomparsa delle culture politiche in Italia è dovuta anche 
alla povertà dell’insegnamento della storia e della Costituzione e all’impossibilità 
di discutere di politica, delle ‘cose che avvengono nella polis’, nelle scuole 
di ogni ordine e grado della Repubblica. Molto ambiziosa, ma assolutamente importante, 
sarebbe una ricerca a tutto campo su quello che è avvenuto nelle scuole italiane 
negli ultimi due o tre decenni. Non possiamo aspettarci che “La buona scuola” 
recuperi il tempo perduto né che riesca a formare cittadini politicamente consapevoli, 
ma, almeno, salviamoci quel che resta dell’anima, evidenziando la carenza di base:
l’inesistenza di senso civico, con tutte le conseguenze relative, uso un termine per tutto, 
alla corruzione della Repubblica”.

**Interessante nel merito questa riflessione di Paola Caporossi su HP 

giovedì 17 marzo 2016

Le trivelle perforano il mare magnum del Pd



Grazie alle trivelle, il Pd è diventato davvero il mare magnum
della Politica Italiana. Anche se, in verità, il caos è profondo
in ogni settore dell’arco partitico, a destra, a centro, a sinistra.
E da tempo. E forse bisogna anche correggere un diffuso sentire.
Questo: si crede, d’ogni parte, che le differenze tra destra
e sinistra siano scomparse. Non è vero. E’ un inganno.
Non sono scomparse le differenze oggettive tra destra e sinistra,
in quanto “luoghi” di deposito di idee e valori e programmi,
ma sono scomparse solo le differenze soggettive tra leader 
e gruppi dirigenti di destra e sinistra, a causa sia di una generale pochezza 
culturale insopportabile, sia di un’appiattita, indifferenziata, omologante 
ambizione di Potere. Il fine è vincere. Anzi comandare.
Agguantare il Potere. Con chi ci sta. A prescindere. 
Con il fine di continuare a detenere il Potere. 
E questa esaltazione del Potere, fatto triste in sé, ha offuscato, 
imperante un diffuso costume politico ad alta maschilizzazione,  
la “cultura della differenza”, rendendo più afona 
la voce di tante donne presenti nella dirigenza politica in ogni settore. 
L’autonomia loquace della differenza si è piegata 
all'esigenza muta dell’obbedienza.

Ieri Monti ha ben elogiato la Merkel, perché governa da grande statista, 
rispettando, al di là di ogni giudizio nel merito,
una sua idea di Governo, senza timore dei sondaggi
e di perdere voti. "Non segue il vento, ma governa".
Con un'idea di Germania, di Europa, di Mondo.
E di bene comune. 
Monti, Merkel. Gente pensosa, seria, oltre i sessanta e i settant’anni.
Al pari di Hilary Clinton, Sanders, Trump.
Ma qual è la differenza tra Trump, Hilary e Sanders? L’età?

Il processo di civilizzazione della società non giunge a segno
attraverso la lotta tra vecchio e nuovo, tra giovani e vecchi,
tra velocità e lentezza, tra arditi e schivi, 
ma attraverso la lotta tra competenti e incompetenti, tra seri e faceti, 
tra riflessione e comunicazione, tra costruzione di lunga durata 
e successo a breve, tra violenza e mitezza. 
Tra i Trump e le Merkel.

Ma quanto ancora bisogna aspettare perché le persone “serie
(la serietà tanto cara al liberale Gobetti), stanche della volgare 
approssimazione politica dell'oggi, e della sua sfacciata disonestà, 
diano inizio a una rivoluzione culturale, etica (semplicemente
in nome dell’onestà) e, attraverso l’esempio, pedagogica, 
nel segno della ricostruzione del pieno rispetto, per una democrazia civile
e paritaria, della legalità, della trasparenza assoluta e del bene comune 
in termini di dignità del vivere?
E dove si rinchiudono, schifati della politica, gli intellettuali?
E’ ora di uscire all'aria aperta, a parlare e ragionare con ogni persona, 
a interrogarsi davanti ai molte/i, a smontare i falsi miti,
a convincere per difendere il bene comune.
Oggi questo bene comune passa sia per la difesa dell’ambiente, 
bene essenziale e indisponibile, impedendo, ad esempio, alle trivelle di ferire
la nostra più invidiata risorsa, la natura dei luoghi,
sia per la difesa della democrazia reale nel rispetto del verdetto
di milioni di italiane/i al referendum del 2011 per l’acqua pubblica, 
anche nella sua gestione, 
sia per la difesa della nostra Costituzione, specie se la sua riforma 
non è tanto il risultato meditato di un interscambio 
tra ogni tipo di cultura politica presente nel paese reale, 
proprio nel rispetto dell’originario spirito della Costituzione stessa, 
quanto un atto di prepotenza/violenza della maggioranza di governo,
testarda nel rifiutare la mitezza del dialogo.

E così oggi il Pd, il più grande partito presente in Parlamento,
e così oggi il Premier, il “più coraggioso degli ultimi quindici anni
(e a parlare è Marchionne, un uomo di successo),
e così oggi il Segretario più decisionista di tutti i tempi del Pd,
tutti insieme, Pd, Premier e Segretario, chiedono alle persone del Pd,
in occasione del prossimo referendum sulle trivelle, di “astenersi”, 
dettando una versione nuova, moderna e veloce dell'andare al mare. 
Nel ricordo di Craxi.
E così il Pd, grazie alle trivelle, diventa un mare magnum,
confuso, caotico, illogico, inutile, pauroso e pilatesco.
Ma con una gran furbizia in petto.
O no?

Severo Laleo


martedì 1 marzo 2016

8 Marzo 2016. Quest'anno le mimose...

Persefone, gioiosa figlia di Demetra, esce nei fertili e colorati campi 
della sua terra,  insieme ad altre compagne,
libere e serene, a raccogliere fiori. Sognando la bellezza.
L'armonia.
E curiosa si allontana,  nella natura amica, per raccogliere
un fiore affascinante, un narciso.
Ma non riuscirà il narciso a donarsi, perché un uomo nero,
apparso all'improvviso dal profondo buio della terra,
coperto di armi violente, la rapisce,
lesto a tornare nel buio, per nulla toccato dalla disperazione 
delle sue grida angosciose.
Per farla sua. Con la forza brutale, senza una parola.
Nel dolore sconfinato della madre Demetra.

L'uomo nero non è morto, vive da sempre nell'antro
di un desiderio violento. Anonimo. 
E uomini neri si nascondono nel buio,
e all'improvviso escono a rapire, dovunque,
la gioia di Persefone, di Kore, delle ragazze.
Per marcare l'antico rito del possesso,
senza una parola, con la forza. 
Contro il dolore di ogni madre.

Nella notte di Capodanno è successo a Colonia, 
nella Germania del XXI secolo. L'uscita gioiosa, per festa, 
di molte ragazze è stata spezzata da un'aggressione vile, sprezzante.
A rapinar con mani gli oggetti del desiderio. Fuori civiltà. 
A queste ragazze, sole per strada a raccogliere, liete,
gli attimi nuovi di vita del 2016,
a queste ragazze, colpite a sorpresa, nel buio,
pur sognanti l'armonia di una città amica,
a queste donne, a ogni Kore dovunque nel mondo,
quest’anno, le mimose dell’abbraccio.

Severo Laleo  


domenica 28 febbraio 2016

Un’idea di Politica nel vuoto volgare dell’oggi




Il 28 febbraio 1986, a Stoccolma,  fu assassinato Olof Palme,
Primo Ministro della Svezia  e leader del Partito Socialdemocratico Svedese. 
Ancora ignoto il colpevole. 
E quindi forse noto!

Le parole sue di seguito mostrano chiara la differenza, abissale,
nel servizio alla Politica,
tra il Vuoto dell'oggi, spesso volgare e arrogante,
tutto dominato da un'idea di Potere,
semplicistica e senza vigore sociale,
e il suo Progetto di Riforma Democratica, tutto fondato,
a prescindere dalle forme dell'agire politico,
sulla solidarietà sociale con il suo potere di empatia.
Qull'empatia oggi indicibile e spesso trasformata in omaggio.
O no?

Ecco le parole di Palme:  
"La mia fondamentale conclusione è la seguente: 
dobbiamo adoperarci per vivere in una comunità 
in cui la solidarietà sociale abbracci tutti i suoi membri 
con un potere di empatia in cui ognuno si fa carico 
della qualità della vita degli altri 
con un sentimento di responsabilità e di partecipazione 
che supera gli egoismi individuali. 
Una società, cioè, in cui non c'è un "loro" e un "noi" ma c'è solo un "noi". 
Questa è l'idea di base di una riforma democratica della politica 
che può trovare un equilibrio tra la giustizia sociale e la libertà individuale".
(Aldo GarziaOlof Palme Vita e assassinio di un socialista europeo, 2007).

P.S.
Trovo oggi, 3 Marzo, in un post di Papandreu su HP, altre illuminati parole 
di Palme a proposito di migranti. Parole d'obbligo per questo Blog, 
in quanto sembrano fissare, una volta per tutte,
un "limite" insormontabile all'egoismo vile di un'Europa 
oggi smarrita, perduta, senz'anima di fronte alla disperazione 
dei nuovi perseguitati della Terra.
Ecco le parole di Palme nella citazione di Papandreu:
"Non dimenticate che quando apriamo le braccia ai perseguitati della Terra, 
non solo creiamo legami d'amicizia permanenti, 
non solo arricchiamo la nostra cultura, 
ma contribuiamo a cambiare le sorti di questi paesi 
che vivono sotto i regimi autoritari".